Alberto, un personaggio unico

Alberto, un personaggio unico

Cecere, l’impiegato di banca ed ex giocatore che conserva la pallacanestro nel cuore e nel cervello

La sua passione per la pallacanestro nasce a 11 anni (alla fine degli anni ‘60) all’oratorio del Sacro Cuore di Udine. Ai tempi le parrocchie rappresentavano un importante luogo di aggregazione per i giovani che, nel rispetto delle gerarchie, imparavano a praticare più sport. Dal Sacro Cuore, in bicicletta, Alberto, con i fratelli Bardini e Bianchini (questo era il quintetto base), partivano per i campetti di altri oratori udinesi. Questo gruppo di amici era il più “odiato”, perché, con la legge del playground del “chi vince, resta”, rimaneva in campo interi pomeriggi.

Erano i tempi in cui l’ora di campetto dopo pranzo era abitudine quotidiana, anche quando c’era allenamento. La sua passione per il collezionismo cestistico è nata già alle scuole medie, quando Alberto ritagliava le foto dall’inserto Usa di Giganti del Basket: Robertson, Maravich, Erving e tante altre immagini che puntualmente incollava sugli armadi della sua camera.

A metà degli anni ‘70 i fratelli Bardini si sono trasferiti a Milano (Olimpia) e, frequentando la sede del college del Simmenthal (la mitica palazzina liberty di via Caltanissetta), il “Betty” (soprannome di Alberto) è stato contagiato dai cimeli presenti nelle sale dell’edificio e dal contatto con il negozio storico del signor Basilio con la sua esposizione di vestiario originale americano. In quegli anni la scuola friulana era ben vista e, tra i nuovi allenatori, c’era anche un giovane Giampiero Hruby, portato a Milano da chi scrive, che guidava alcuni gruppi del vivaio Billy ai tempi di coach Dan Peterson. In quel periodo Alberto ha iniziato a importare tubolari, polsini, magliette d’allenamento portando sui campetti udinesi il profumo autentico del basket USA.

Il primo pezzo da collezionista è stato il polsino arancione donato da David Hall (stranger della Snaidero), durante una partita al Carnera, quando nell’intervallo i ragazzini scendevano in campo per tirare a canestro le cartacce piovute dagli spalti. Lì Alberto è stato contagiato e ha iniziato a costruirsi un cesto con il filo di ferro e la retina della spesa, piuttosto che con i cilindri del detersivo: la sua camera era diventata un campo da basket. In quel periodo “Betty” si era persino disegnato a penna il logo della tuta di Maravich ed il numero 44 sul suo pigiama. 

Nel 1983, quando allenavo la serie A a Mestre, ho fatto esordire Alberto contro l’APU Udine di Messina e Colosetti in una partita di Coppa Italia vinta grazie ad una palla rubata proprio da Cecere. Sempre nel mio periodo di coach al servizio di Pieraldo Celada, devo riconoscere che alcune vittorie sono arrivate grazie ai consigli tattici di Alberto, allora in servizio come carabiniere a Mestre. La collezione di Cecere è stata esposta per la prima volta all’inizio degli anni ‘90 ad un’iniziativa del Comitato udinese della FIP. La gente è andata fuori di testa.

La competenza di Alberto è inarrivabile: sa tutto della pallacanestro. Le sue conoscenze mi hanno “costretto” a portarlo come relatore al Corso di Scienze Motorie dell’Università di Udine in cui insegno, dove lui ha stupito tutti i corsisti con un’emozionante “lectio magistralis”. Chi è allora Alberto? Un personaggio unico che, quando è in palestra, riesce a riconoscere il fondamentale eseguito dai giocatori solo con il suono delle scarpe da basket che sfregano sul parquet!   

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Giganti # 6 (ottobre 2018) | Pagina 22  

Claudio Bardini

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