L’altra metà è Blanca

L’altra metà è Blanca

Ex giocatrice di alto livello, giornalista e scrittrice, mamma di Alessandro e Carlota. E dal 2003 moglie di Sergio Scariolo. Che lo racconta da un punto di vista del tutto esclusivo

Blanca Ares è da un quarto di secolo l’altra metà di Sergio Scariolo. E’ stata giocatrice e telecronista, prima che moglie e madre. Della prima vita ha colto di recente, a fine ottobre 2021, un doppio riconoscimento di grande prestigio: l’ingresso nella Hall of Fame del basket spagnolo, sia a livello individuale (e ci sono in tutto solo tre giocatrici) che assieme alla squadra che nel 1993 agli Europei di Perugia vinse una storica medaglia d’oro, la prima per la Spagna, maschi compresi. Conta 124 presenze e quasi duemila punti segnati in nazionale ed a Leganés, poco fuori Madrid, le hanno intitolato un palazzetto.

Della seconda vita, avviata dopo il gioco con tanto di laurea in giornalismo, serba l’avvio della sua storia d’amore. “Ero a Caceres per commentare la partita, lui si presentò, molto professionale: sono Sergio Scariolo, l’allenatore del Tau Vitoria. Ero alla fine del mio primo matrimonio, con Ismael Santos, giocatore del Real Madrid, lui mi chiamò pochi giorni dopo, cominciammo a sentirci”. Della terza, accanto al coach, si parla qui, dialogando sui divani della bella casa storica affittata nel centro di Bologna, la città scelta per tornarci a fare l’allenatore vero, chiuso l’assistentato ai Raptors, constatato che una panchina NBA, per un europeo anche coperto di medaglie sta in cima al palo della cuccagna, preferito la Virtus, con le sue seducenti prospettive di crescita.

Blanca, prima di tutto: che giocatrice era Ares?
«Un’ala, brava a far tutto, non bravissima in niente. Né tiro, né palleggio, né passaggio al massimo, però tutto discretamente. Di grande carisma, si dice in giro. Non capitana, perché non avevo l’età, solo 22 anni, quando ero nel gruppo più giovane di quella nazionale spagnola destinata a entrare nella storia. Quattro mesi in ritiro, in vista dei Giochi di Barcellona, tanto lavoro duro, ma andò male. Fracaso, si dice noi. Un fallimento, solo quinte. L’anno dopo, il ‘93, andiamo a Perugia agli Europei. Non c’è più pressione, tensione, timore. Il lavoro paga e vinciamo la medaglia d’oro».

E che telecronista era Blanca Ares?
«Credo obiettiva, anche se a tutti non puoi piacere, e certi tifosi dicevano che a Ismael Santos, il mio primo marito, non facevo critiche, e così poi a Sergio, il secondo. Al microfono arrivai dopo il ritiro, con una laurea in giornalismo. Prima voce, non spalla, nella nascente Tele+ spagnola, accanto a me San Epifanio, una leggenda, portabandiera a Barcellona, pure lui appena entrato nella Hall of Fame».

Critica o no, allora? Scariolo non le manda a dire ai giornalisti, se si sente maltrattato.
«E infatti me lo ricorda ancora: quante legnate mi hai dato. Critica il giusto, credo, quand’era giusto. Libera di dare opinioni, ero lì per questo, donna chiamata a parlare di uomini, ma forte dei suoi studi, e non solo del suo passato. Con Sergio, intanto, conosciuti da poco, cominciammo a frequentarci. Venticinque anni dopo siamo qui, a Bologna».

Avete pure scritto un libro insieme.
«Il libro è suo, io ho solo raccolto i suoi pensieri. Di vita e di basket, dai suoi inizi a Brescia fino a quel punto della carriera, a Milano, non uno dei suoi momenti più felici. Lo completammo lì, lui raccontava, io scrivevo, un capitolo per volta. Poi lui leggeva, approvava o correggeva. Cercava di mettere un po’ di cose divertenti, perché sennò ‘sta roba non si legge, Sergio’. Lui però, sempre serio, preciso, rigoroso, mi chiedeva di levare. E io levavo, protestando: non lo compra nessuno. E invece è andato, e gli incassi sono finiti tutti nella fondazione che abbiamo creato insieme per la lotta alla leucemia e al linfoma».

A Sergio è servito avere una moglie che sapeva di basket?

«Credo di sì, soprattutto all’inizio. Io in Spagna conoscevo tutti, lui nessuno. Diciamo che gli ho fatto da guida. All’epoca non avevamo figli, io ero ancora molto assorbita dal gioco, anche in casa ne parlavamo tanto. Molto è cambiato quando sono nati i figli. Alessandro oggi ne ha ventuno, Carlota diciannove, per i loro primi 15-16 sono stata più fuori dal basket che dentro. Ora che sono cresciuti ho ricominciato».

Essere stata una giocatrice professionista l’ha indirizzata nel parlare o tacere, quando suo marito ha attraversato i momenti peggiori in carriera? E quali sono stati?
«L’ultimo anno di Milano l’ho visto davvero giù. E anche con la nazionale dopo il Mondiale di Istanbul, nel 2010, sesti, una grande delusione per tutti. Battuti ai quarti dalla Serbia, alla sirena, anzi da Milos Teodosic, che fece canestro da nove metri, marcato da Garbajosa. La gente era abituata a vedere la Spagna sul podio, pensava si potesse e dovesse sempre vincere. E invece nello sport c’è tanto altro, la sfortuna, gli incidenti, una singola giocata che ribalta tutto. Io questo lo so, Sergio lo sa, per questo abbiamo preferito confrontarci sempre, parlare, anche a botta calda, mai lasciar passare giorni di silenzio. Fuori, per una sconfitta si fa un dramma, così come per una vittoria ci si esalta. Dentro, sappiamo riportare tutto al suo valore. Io come lui».

Proprio non gli ha mai detto, tornando a casa: caro Sergio, questa l’hai persa tu?
«No, proprio per quel che ho detto. I fattori sono tanti, nessuno, neanche un campione, vince o perde le partite da solo. Poi, tra club e nazionale, c’è differenza: con la nazionale decide una partita, con il club un’intera stagione. Ma c’è un altro motivo per cui non potrei mai dirgli: questa l’hai persa tu. Perché lo conosco, lo vedo lavorare, so quanta dedizione mette nel suo lavoro, le ore che passa a cercare di prevedere tutto, per non lasciare nulla all’improvvisazione. Se anche perde, so che ha fatto tutto quel che poteva per evitarlo, chiedendo il massimo a se stesso».

In Italia si dice che dietro un grande uomo c’è una grande donna. Concorda?
«Il detto è identico anche in Spagna. Dovrebbe fare questa domanda a lui, io so che la donna di uno sportivo può solo stargli accanto 24 ore su 24, essere disposta a rinunciare ad angoli di vita propria o di vita familiare. Ecco, un po’ speciale dev’essere, sì».

Dopo moglie, anche madre di giocatore. Suo figlio Alessandro, classe 2001, promessa spagnola.

«Sì, può diventare un giocatore, ci sta provando. E’ stato a giocare e studiare in America, ma ha appena finto il college a Ouachita, nell’Arkansas. Carlota invece giocava a tennis, ma ha preferito studiare e basta: aveva cominciato l'università a Toronto, scienze politiche, adesso fa relazioni internazionali a Madrid».

Era favorevole alla scelta di tornare in Italia?
«Condividiamo tutte le scelte, anche per questo rientro in Italia è andata così. Sergio aveva voglia di allenare, poi teneva a riavvicinarsi a sua madre, a Brescia. L’ho seguito dappertutto, sempre volentieri: Mosca e Toronto, Milano e Marbella, dove abbiamo anche preso casa, quando allenava a Malaga, perchè Madrid è sempre più caotica e in due ore e mezzo di treno ci sei. E dappertutto ci siamo portati i figli. Finchè non andranno, presto, per la loro strada».

Blanca, che cosa continua a piacerle, in questa vita di basket? E cosa s’è rassegnata a sopportare?

«Quando penso alla mia vita, metto accanto i pro e i contro. Sono sempre più i primi. Mi ritengo una persona positiva, ottimista, un Capricorno fiero della propria libertà, deciso ad usarla per ispirare le scelte importanti. E allora posso dirlo. Sono felice, questa vita l’ho scelta io e continua a darmi tantissimo».

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Giganti # 11 (maggio 2023) | Pagina 72-76

Walter Fuochi

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