L’aviere lungimirante, rispettoso della classicità

L’aviere lungimirante, rispettoso della classicità

Sergio ha fatto il militare, e come tutta la gente di basket, l’ha fatto in Aeronautica. Nel 1985 stazionava appunto a Vigna di Valle, dove c’è il centro sportivo delle Forze Armate, mentre io allenavo la Virtus Roma e la nostra base era a Settebagni, zona nord della capitale. Per questo lui riusciva spesso a venire a vedere i miei allenamenti: è lì che ci siamo conosciuti. Qualche anno dopo, quando io stavo per diventare allenatore della Scavolini, lasciando la Nazionale, Sergio mi venne a trovare per darmi una sorta di benvenuto, visto che lui era già assistente di Giancarlo Sacco a Pesaro. A me piaceva l’idea che il vice fosse una persona che già lavorava nella squadra dove andavo, un po’ perché dava continuità al progetto societario, poi perché conosceva già le dinamiche interne, ed i ragazzi delle giovanili da coinvolgere.

Durante la nostra stagione pesarese il nostro rapporto di amicizia divenne più forte, sia dal punto di vista umano che intellettuale e cestistico. Fu l’anno in cui io volli sostituire Aza Petrovic, che era l’idolo della piazza, famoso per gli aeroplanini dopo ogni tripla segnata, con Darwin Cook. Stampa e tifoseria erano assolutamente contrarie alla sostituzione, inoltre Cook appena arrivato si infortunò alla caviglia, e in quel momento di sicuro la mia persona non era ben vista. Ma Sergio si schierò apertamente al mio fianco, con i tifosi e con i giornalisti, ribadendo la bontà della scelta tecnica fatta, ma soprattutto la sua lealtà nei miei confronti. In un momento in cui anche solo restare neutro lo avrebbe tutelato.

Al termine della stagione seguente, quando lasciai Pesaro per tornare a Roma, la società valutava diversi profili già affermati, anche internazionali, ed io mi permisi di sostenere forte la candidatura di Sergio, che meglio di tutti conosceva l’ambiente e la squadra, un gruppo che di fatto era rimasto lo stesso. La storia poi mi ha dato ragione. Ma per meglio comprendere la persona Scariolo, racconto un altro aneddoto. Io e lui andavamo da una signora a fare conversazione per migliorare il nostro inglese, ma ad un certo punto lui decise di imparare anche il greco moderno (quello classico era già stata parte del suo percorso scolastico). In quel momento storico nessuno pensava di andare ad allenare all’estero, ma lui stava già guardando oltre, mostrando un’apertura mentale non da tutti. E la Grecia in quel momento era un campionato in grande crescita, ricco di opportunità. Ecco, se devo descrivere il Sergio Scariolo 28enne parto da un giovane uomo culturalmente preparato, con una grande passione per il basket, un’eccellente capacità di analisi, che mi supportava anche nella comunicazione verso l’esterno, importante per cercare di resistere anche mediaticamente all’egemonia milanese di quegli anni.

Sono stato felice del ritorno di Sergio in Italia. Stiamo vivendo un tempo di transizione, i filosofi dicono: «i vecchi se ne sono andati e i nuovi tardano a venire». Per molto tempo ho pensato che anche il vecchio basket se ne fosse andato e il nuovo ancora dovesse venire, ma ora mi sto ricredendo. C’è una netta cesura tra il basket della maggior parte delle squadre di serie A, sbilanciato sul tiro da tre, e quello della Virtus, di nuovo organico, razionale, equilibrato tra il dentro e il fuori. Scariolo sta dettando i nuovi protocolli di un basket moderno, rispettoso dello spirito della sua classicità.

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Giganti # 11 (maggio 2023) | Pagina 43

Valerio Bianchini

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