Anno 2001: Virtus Bologna, un Grande Slam da leggenda

Anno 2001: Virtus Bologna, un Grande Slam da leggenda

Una stagione che può essere riassunta con due parole, Grande Slam. Il 2001, oltre a sancire la spaccatura tra FIBA e ULEB con, come risultato, due competizioni diverse, è senza dubbio l'anno della Virtus Bologna capace, a distanza di oltre tre lustri, di replicare quanto fatto nel 1987 dalla Tracer Milano e dalla Ignis Varese nel 1973, riportando l'Italia sul trono d'Europa almeno a livello di club.

E pensare che quell'annata per le V nere sembrava partita decisamente con il piede sbagliato. Il 10 ottobre del 2000, infatti, la metà bianconera di Bologna si vede cadere il mondo addosso: completato il recupero dall'infortunio alla caviglia, lo “Zar” Sasha Danilovic decide di dire basta a soli 30 anni. Vuoi per stanchezza, vuoi per logoramento, o magari per l'arrivo di qualcuno che ha saputo poi prendersi in mano la Virtus, fatto sta che la Kinder si ritrova senza faro a pochi giorni dall'inizio del campionato. E le ripercussioni si avvertono subito: sconfitta in Supercoppa contro Roma, ko ad Atene in Eurolega e, dopo due vittorie, il pesante tonfo di Udine in campionato.

Ma quella squadra che potremmo definire totale riparte da quel punto per risollevarsi, guidata da giocatori fortissimi ed esperti e da una stella che stava soltanto iniziando a splendere, Emanuel Ginobili: 23 vittorie consecutive, tra cui un +37 in un derby che rimane storico per i tifosi bianconeri, che mettono in cascina il primo posto in campionato e in Eurolega. Il primo snodo è contro l'Olimpia Lubiana, un 2-0 molto sofferto con due partite decise da appena 3 punti complessivi. Da quel momento si inizia a fare sul serio. A separare la Kinder dalla finale continentale c'è proprio la Fortitudo, l'ennesima stracittadina. Stavolta però la resistenza dura poco: Ginobili e compagni firmano un sontuoso 3-0 con la clamorosa rimonta nel terzo atto, al PalaDozza, dal -18. Ora resta solo il Tau Vitoria.

L'inizio, ancora una volta, non è assolutamente dei migliori: senza Griffith la squadra di Messina incassa lo 0-1 casalingo, mettendosi già con spalle al muro. Nemmeno a dirlo la Virtus, però, sa riprendersi riportando la serie in parità ma con due partite cruciali da giocare in terra basca. Prima, però, per una strana impostazione della stagione, c'è da giocare la Final Eight di Coppa Italia. Un trofeo che la Virtus alza al cielo liquidando Pesaro in finale, ma rischiando l'eliminazione già ai quarti contro una stupenda Biella, prima della A2 ma a un passo dal grande scalpo.

Nemmeno il tempo di festeggiare che la testa va subito a Vitoria. E lo si nota immediatamente visto che, in gara-3, la Virtus rifila 20 punti agli avversari, spinta da Ginobili e dai suoi 27 punti, colui che Flavio Tranquillo definisce commentando il match “Houdini sul parquet”. Il verdetto però non arriva già nella partita seguente perché il Tau, da grandissima squadra quale è, conquista il punto del pareggio con un altrettanto perentorio +17. Nella bolgia del PalaMalaguti emerge la miglior Virtus: nonostante i problemi di falli di Griffith, Ginobili e Smodis trascinano le V Nere e respingono Bennett e compagni in quella guerra di nervi che è gara-5. A chiudere la contesa ci pensano ancora loro, i veterani. Ecco il secondo successo, quello più importante probabilmente.

Ma Messina è già focalizzato sui playoff per completare l'opera. Gli effetti si vedono subito: 3-0 con Roseto, stesso risultato (ma con più sofferenze) contro Treviso, prima dell'apoteosi del 19 giugno con il punto decisivo che abbatte anche (e ancora) la Fortitudo. Percorso immacolato e Grande Slam completato.

Merito del talento di una squadra fortissima, ma merito anche e soprattutto di Messina, allenatore dell'anno per Superbasket, capace di tenere uniti e concentrati i giocatori quando potevano sentirsi appagati: non è un caso che poi, Ettore, dopo le vittorie con la Nazionale e con Bologna, avrebbe conquistato un altro scudetto, altre quattro Coppe Italia, oltre a sei titoli russi e altre due Euroleghe con il CSKA. Senza dimenticare l'anello NBA con San Antonio da assistant coach e la distinzione di essere stato il primo allenatore “non Nord Americano” a vincere una partita in regular season e nei playoff.

Quella Bologna, però, per sua stessa ammissione, gli è rimasta nel cuore da subito, quando è stato accolto come giovane allenatore emergente nel vivaio bianconero. O come al momento del ritorno caldeggiato dal Presidente Cazzola dopo la parentesi in Nazionale. Già, Cazzola, colui che ha riportato a livelli altissimi la Virtus e che, a inizio stagione, la lascia in mano a Madrigali che si limita a puntellare un organico già di per sé eccezionale. L'imprenditore felsineo, personaggio dell'anno per Superbasket, è stato l'uomo capace di portare la parte bianconera di Bologna al livello di Milano e Varese, le uniche altre due formazioni a centrare la grande tripletta. Nello stesso anno diviene anche Presidente di Lega succedendo a Sergio D'Antoni e replicando il duplice ruolo ricoperto dal suo predecessore alle V Nere Cazzola. Il suo più grande merito, però, rimane quella triplice corona da leggenda.

Una parte di Bologna gioisce, l'altra si lecca le ferite. Per i derby, persi, certo. Ma anche qualche giocatore perché, a posteriori, ha dovuto lasciar andare forse l'ultima possibilità di vittoria. È il caso di Andrea Meneghin, uno dei talenti più grandi della pallacanestro italiana moderna e, allo stesso tempo, forse uno dei più sfortunati. Dopo una vita a Varese, ricalcando le orme di papà Dino e vincendo lo Scudetto della stella, non riesce a bissare il titolo dell'anno prima con la Effe. E pensare che, se non fosse arrivato Ginobili, ci sarebbero state concrete possibilità di vederlo in maglia Virtus. Dopo i tre anni alla Fortitudo, decide di ritornare a Varese ma, nel 2005, è costretto a dire basta: colpa di un'anca che non sapeva guarire e che lo costringe al ritiro. Un peccato per un talento che aveva ancora molto da dare a 31 anni.

Un anno trionfale, segnato anche dal primo scudetto in rosa di Parma e dalla vittoria di Schio nella Coppa Ronchetti; un'annata che, però, deve registrare anche la negativa esperienza della Nazionale italiana. Agli Europei di Turchia, infatti, si interrompe il ciclo di Boscia Tanjevic sulla panchina azzurra, complice una deludentissima eliminazione nei quarti di finale contro la Croazia. Una debacle che costa all'Italia anche la qualificazione al Mondiale del 2002, quello in terra americana; un risultato negativo che dà vita al nuovo corso targato Charlie Recalcati. A posteriori un punto di partenza fondamentale.

 

  • Personaggio dell'anno

    Marco Madrigali

  • Allenatore dell'anno

    Ettore Messina

  • Atleta dell'anno

    Andrea Meneghin

 

  • Nazionale Italiana maschile

    Europei, 9° posto

  • Scudetto maschile

    Kinder Bologna

  • Coppa Italia maschile

    Kinder Bologna

  • Supercoppa maschile

    Benetton Treviso

  • Eurolega

    Kinder Bologna

  • FIBA Suproleague

    Maccabi Tel Aviv

  • Coppa Saporta

    Maroussi Atene

  • Coppa Korac

    Unicaja Malaga

 

  • Promosse in Serie A1 maschile

    Fila Biella, Mabo Livorno

    e Banca Marche Fabriano

  • Promosse in Serie A2 maschile

    Celana Basket Bergamo, Sacil Hlb

    Pavia, Centro Sportivo Borgomanero,

    Premiata Montegranaro, Sinteco

    Ferrara e Upea Capo d'Orlando

 

  • Nazionale Italiana femminile

    Non ha partecipato a manifestazioni

  • Scudetto femminile

    Cerve Parma

  • Coppa Italia femminile

    Cerve Parma

  • Supercoppa femminile

    Pool Comense Como

  • Coppa Campioni femminile

    CJM Bourges

  • Coppa Ronchetti

    Famila Schio

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Superbasket # 42 (dicembre 2018-gennaio 2019) | Pagina 62-63

Redazione Superbasket

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