“Il perfezionista della vittoria ”
Brillavano gli occhi a Gilberto Benetton quando gli parlavo di lui. E forse solo Ettore potrebbe convincerlo a tornare nel basket…
Ogni qualvolta saltava fuori il nome di Messina, a Gilberto (Benetton) brillavano gli occhi. Eppure non si sarebbe mai permesso di dare qualche indicazione o sottolineare una preferenza, pur potendo ben farlo e a pieno titolo. Avevo però capito fin da subito quanto stimasse Ettore e ne ammirasse le qualità.
Purtroppo sembrava una sorta di sogno destinato a rimanere tale, perché mai si erano creati i presupposti per discutere con Ettore di una possibile sua esperienza nella Marca. Almeno così fu fino a quando qualcosa non iniziò ad incepparsi nella “success story” della Virtus Bologna targata Madrigali. In pochi mesi successero tante cose e per noi significò soprattutto la possibilità di presentare a Ettore il progetto-Treviso e il mondo Benetton. Ricordo ancora la sera in cui informai il “patron” e Giorgio Buzzavo che il sogno Messina poteva forse presto trasformarsi in realtà: non sapevano se stessi scherzando o meno.
Iniziarono così i tre anni di Ettore a Treviso, e per me cominciò un confronto quotidiano con lui su come migliorare e provare a vincere, sempre. Ci eravamo “annusati” in tanti altri momenti, ma mai avevamo lavorato insieme prima di allora: credo fossimo entrambi curiosi della reciproca conoscenza e di vedere cosa avremmo combinato insieme. Il suo mentore, il “mitico” Dan, direbbe a questo punto: “193 partite, 144 vinte, oltre il 70% di vittorie, può bastare?” Sì, può senz’altro bastare, anche se quello che le cifre non possono di certo raccontare è l’Ettore che ho conosciuto collaborandoci insieme tutti i giorni: un professionista instancabile, un perfezionista oltre ogni limite (e viene da chiedersi come faccia ad esserlo sempre e comunque), un pensatore di basket costantemente focalizzato su come fare meglio e sul provare a vincere la partita successiva.
Le sconfitte lo rendono cupo, forse più del dovuto, ma è anche il suo modo per lanciare il messaggio, per far capire a tutto lo spogliatoio, e non solo a quello, quanto vincere sia importante, come sia veramente l’“ultimate goal”. Ricordo ancora il dopo partita della prima trasferta di Eurolega insieme: a Valencia, sonora sconfitta di 25. Era la squadra con Edney, Pittis, Bulleri, Marconato, Garbajosa e un giovanissimo Bargnani. I veterani capirono immediatamente dal suo volto quel “messaggio”.
Ma Ettore è anche un uomo di famiglia molto dolce; proprio nella famiglia trova tante risorse per il suo equilibrio. Parlare con lui è sempre stimolante e lo si può fare anche lontano anni luce dal basket e dalle sue tematiche: è decisamente un oratore avvincente e coinvolgente. Al punto che, ogni tanto, quando mi capita di pensare agli anni di Treviso, mi scopro a credere, o a sognare, che solo lui riuscirebbe forse a convincere il “sor” Gilberto a ripensare al basket.
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Giganti # 4 (febbraio 2018) | Pagina 75