“La guida dei miei anni più belli”
Con Ettore un rapporto bellissimo nato dopo un piccolo chiarimento iniziale. Formidabile per me il suo supporto. E io in cambio...
Sto parlando di un amico vero. Negli anni, il mio rapporto con Ettore si è consolidato. Non abbiamo mai avuto screzi importanti. C’è stato un assestamento iniziale, certo. Mi ricordo un confronto sereno dopo la prima partita. Messina è rigoroso, inflessibile. Io mi sentii di dirgli: “Coach, io non sono venuto qui per difendere e passare la palla, ma per tirare e segnare. Poi, d’accordo, passo e difendo”. Capì tutto quello che c’era da capire e filammo d’amore e d’accordo, in particolare nel secondo periodo insieme: eravamo entrambi cresciuti e maturati. Non dico che gli andasse bene tutto quello che facevo, ma è stato bravo a non sottolineare i momenti-no.
Soprattutto da Ettore mi sono sentito sempre supportato: per me è risultato fondamentale perché lo sentivo in modo forte. Ricordo molto bene un episodio a riguardo. Fu prima della semifinale di Eurolega a Monaco: con la Fortitudo, naturalmente. Io sentivo una pressione enorme, senza un vero perché. Messina mi parlò faccia a faccia lungo e quel dialogo mi aiutò moltissimo. Per questo, dopo il mio primo canestro in partita, andai a ringraziarlo. Sapeva, e sa, come fare. Ed è anche furbo. Me lo dimostrò sull’aereo per Barcellona, dove andavamo per le Final Four di Eurolega del 1998. Si avvicinò a me e ad Antoine Rigaudeau, con il quale, dopo un reciproco studio iniziale, ormai viaggiavo affiatato e ci incastrò così: “Ragazzi, vi consegno le chiavi della squadra, siete voi che dovete guidarla”. È difficile per un allenatore importante fare un discorso del genere. Ma a noi servì e quell’Eurolega la vincemmo.
Dicono che Ettore mi abbia fatto giocare in ogni ruolo, eccetto che centro. Non è vero: m’è capitato anche quello. È sempre stato lineare e diretto nei rapporti. Assomigliava ai migliori allenatori slavi che mi avevano formato. Con lui bisognava capirsi, e ci siamo capiti. Può essere successo che in qualche occasione l’abbia mandato fuori di testa, ma io non me ne sono accorto... Con lui e con la Virtus ho passato i miei anni più belli. Pieni di cose. Sì, come quell’azione da 4 punti, gara 5 della finale scudetto 1998. Con la Fortitudo, ovvio. Noi sotto di 4 a meno di 30” dalla fine. Io esco da un blocco e tiro frontalmente da tre. La metto mentre Wilkins mi fa fallo. Segno anche il tiro libero e siamo pari. Poi vinciamo al supplementare. Questo lo sanno tutti. Non ho mai detto a nessuno del time out che chiamò Ettore in quei momenti. Non ho sentito niente, non so nemmeno di che cosa abbia parlato. So invece che nei secondi finali del tempo regolamentare eravamo tutti d’accordo a giocare lo schema “4” per un altro mio tiro. Infatti entriamo in campo, Abbio prende la palla e va a tirare sbagliando. Vincemmo ugualmente nel supplementare, ma sono ancora arrabbiato lo stesso...
I rapporti con Ettore sono rimasti stretti anche dopo la fine della mia carriera. Ci incrociavamo spesso, io col mio Partizan, lui con il Cska. E da presidente della Federazione serba, agli ultimi europei, ero preoccupato che la sua Italia potesse giocarci uno scherzetto. Da lui ci si può aspettare di tutto, anche che diventi il primo allenatore non americano della Nba. Popovich lo sta preparando per questo e io sarei contentissimo se ci arrivasse, se lo merita. Lo vedo sempre più rilassato. Ride e scherza più spesso: e vi confesso che mi prendo un po’ di merito per questo...
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Giganti # 4 (febbraio 2018) | Pagina 47