“Il mio insegnante, non solo di basket”

“Il mio insegnante, non solo di basket”

Il noi prima dell’io: lezione indimenticabile. Le sue parole sono risultate una spinta essenziale per la mia vita  

C’è l’Ettore Messina allenatore, patrimonio di tutti coloro che amano il basket, siano essi europei o americani: quello lo chiamano semplicemente, “il coach”, nel significato più completo e vincente del termine. Ma nel mio ricordo c’è prima di tutto il “mio” Ettore Messina, che è tutto questo, ma anche di più. Non ho nessun merito nel poter raccontare questo Messina, ma solo la fortuna (come giocatore) e il piacere (come persona) di averlo incrociato nella prima parte della mia carriera, condividendo due anni di lavoro quando ero un ragazzino che si affacciava al basket vero, che a quei tempi parlava ancora di Allievi, Cadetti e Juniores: gli anni più importanti per la crescita della persona e del giocatore. Anni di formazione, che, vissuti al fianco di Ettore, mi hanno agevolato molto nella mia carriera sportiva.

A quei tempi ero un ragazzo un po’ vivace e con personalità: a 15 anni, arrivavo da una piccola società a una squadra importante. Ettore, a ripensarci, non era tanto più grande di me, con i suoi 21 anni. Eppure aveva già il suo carisma: si intuivano benissimo le sue qualità di leader e la sua capacità di essere un “condottiero”. Così mi ha saputo gestire, insegnandomi che il noi viene prima dell’io. Mi ha trasmesso le sue nozioni, legate non solo agli schemi di gioco, ma anche ai modi di interpretare la metodologia di allenamento e la capacità di leggere le azioni e come prepararsi. È stato il miglior modo per apprendere le basi fondamentali per la mia carriera da giocatore. Restano valide ancora oggi che sono un dirigente.   

I ricordi che mi legano a lui sono indelebili e spettacolari. Delle due finali scudetto, più ancora di quella vinta in finale con Cantù, mi piace oggi citare quella Cadetti raggiunta contro l’Olimpia Milano giocando contro squadre formate tutte da ragazzi di un anno più grandi: non abbiamo vinto, ma arrivare fin lì è stato un risultato già di per sè eclatante. Salendo di categoria, Ettore è sempre riuscito a mantenere quelle qualità, basate sul suo credo, fatto di disciplina, di grande capacità di costruire il gruppo, motivare e migliorare i giocatori.

Al di là delle innegabili capacità tecniche, unite ad un immenso amore per il basket e a una grandissima serietà, a riconoscere in lui un leader sono sempre stati gli altri. E questo non va sottovalutato. Ettore è riuscito a lasciare sempre una traccia attraverso il suo carattere: un tratto umano non scontato, a volte direi quasi duro, ma in grado di far crescere chi lavora con lui. Il primo anno che mi ha allenato, credo di aver battuto il record del mondo di piegamenti sulle braccia, perché sulla disciplina Ettore non è certo uno che transige; ma sono sempre tornato a casa, anche se stremato o arrabbiato, con un entusiasmo più forte del giorno prima. Lo definirei dunque un “allenatore e formatore del carattere”.

Con il suo assistente, Lele Molin, mi ha dato lezioni di vita che poi mi hanno aiutato non solo nello sport. Ricordo, ad esempio, quando sono stato escluso da una trasferta negli Stati Uniti: alla cena di fine anno, pur sapendo che sarebbe andato via, non ha usato banali frasi di circostanza, vedendomi con gli occhi lucidi, ma mi ha spinto a continuare a lavorare come stavo facendo, mi ha detto cosa voleva da me, quali erano le mie qualità, dove sarei potuto arrivare. Parole che ho avuto ben presenti dentro di me per tanto tempo. Un ricordo che conservo gelosamente anche perché - oggi me ne rendo conto - proprio da quelle parole è arrivata la spinta che mi ha portato a non mollare mai e credere che il lavoro e la dedizione pagano sempre

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Giganti # 4 (febbraio 2018) | Pagina 33

Federico Casarin 

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