La politica, le istituzioni, il governo della città
La politica come servizio. Il superamento dell’idea di schieramento. La nascita di un nuovo progetto civico. La visione metropolitana di sviluppo. Venezia e il governo di una città complessa. Il consenso che nasce dal basso. Il futuro e gli sviluppi di un progetto
Partiamo dalla fine. Cosa farà Luigi Brugnaro nei prossimi 5 anni. E cosa starà facendo fra 15 anni?
“Domanda impegnativa. Quando mi sono candidato per la prima volta nel 2015, mi sono messo in gioco perché, vivendo da cittadino e imprenditore questa meravigliosa Città, ho capito che mancava completamente l’idea di dove si volesse andare, e di quale fosse la direzione da prendere. In altre parole, mancava una strategia per proiettare Venezia nel futuro.
In questi cinque anni abbiamo lavorato giorno e notte per il rilancio della città, efficientando la macchina amministrativa e liberando risorse per lo sviluppo del territorio.
I cittadini di Venezia, in un anno difficilissimo come quello che stiamo vivendo, mi hanno rinnovato la propria fiducia riconoscendo il lavoro svolto, rieleggendomi al primo turno come Sindaco di Venezia e credendo ancora una volta nella concretezza e nella forza dei fatti. Ho lavorato e lavorerò per i prossimi anni da Sindaco con un obiettivo ben chiaro: lasciare alle giovani generazioni e a tutti i ragazzi che sceglieranno di vivere qui, una città migliore di quella che ho trovato. Voglio dare loro una opportunità e voglio fare in modo che l’abbiamo il prima possibile perché non c’è più tempo da perdere. Tutto il lavoro fatto in questi anni da Sindaco è andato nella direzione di costruire un futuro per loro fatto di occupazione e benessere da vivere in una città più bella, più sicura, più ricca, più decorosa e sempre più rispettosa dell’ambiente. Vorrei che tutti i ragazzi volenterosi e che dimostrano di voler fare, possano trovare le condizioni per crescere, per costruirsi una vita qui. Di solito non amano ricevere consigli, ma se potessi suggerirei loro di girare il mondo, fare tutte quelle esperienze che permettano di allargare l’orizzonte delle idee e della preparazione, ma poi di tornare perché Venezia, Mestre, Marghera stanno dimostrando di essere le città del futuro, dove c’è spazio per permettere loro di crescere e di contribuire a costruire quella Venezia Metropolitana capace di vincere le sfide che un mondo sempre più globalizzato pone. É ora di uno scatto d’orgoglio. Abbiamo tutte le carte in regola per procedere a testa alta. Abbiamo dimostrato di essere resilienti e di saper superare le emergenze.
Non ho tante certezze nella vita, ma su una sono fermamente convinto: è l’entusiasmo la benzina che fa girar le cose e senza quella nessuno sarebbe in grado di governare, tantomeno una città complessa come Venezia. Qualsiasi esperienza è utile nella vita, se non la si considera un mero fallimento. Anzi, attraverso il superamento di un fallimento si trova quella forza indispensabile per avere successo. A tanti imprenditori di successo è capitato di sbagliare, eppure questo non ha compromesso la loro credibilità: chi tenta di realizzare qualcosa di unico, di innovativo, di mai tentato prima, sta percorrendo una strada nuova ed inesplorata dimostra di avere coraggio, quello che oggi serve a tutti noi. Sicuramente in qualche occasione ho sbagliato anche io da Sindaco, ma in questi anni abbiamo cambiato direzione a questa città. Non so cosa farò fra 15 anni, e tutto sommato è anche poco importante, ma so cosa sarà Venezia: una grande Città Metropolitana del futuro, capace di difendere la vita del suo prezioso centro storico e, con la stessa forza, affermare le ragioni della contemporaneità a Mestre, Marghera e in tutto il vasto entroterra”.
La passione per la politica è l’ultima sfida. Luigi Brugnaro non è un politico, non ha mai fatto la “politica dei partiti”, che sembra guardare con sufficiente distanza.
“Credo che la politica debba essere uno strumento attraverso il quale far star meglio i propri concittadini, siano questi veneziani, se parliamo a livello locale o, in senso più ampio, tutti gli italiani. Non mi sono mai interessati molto i partiti in sé perché la logica del “partito”, così come molti intendono ancora la politica, non mi è mai appartenuta. Mi spiego: fondamentalmente non sono contro queste forme di rappresentanza, anzi, le considero il mezzo attraverso il quale la politica sostiene l’azione di governo della città. Però, parto da un principio differente: se la persona che sto ascoltando ha una buona idea, non mi domando da che parte stia o a che corrente sia legata. Se davanti a me c’è una brava persona, non la contrasto a prescindere perché non è del mio stesso colore politico. Questo è un errore che per troppi anni è stato fatto. Dobbiamo imparare a guardare direttamente alle persone senza necessariamente farci condizionare dalla loro appartenenza. Così ho sempre fatto nella vita e così faccio ora, nella mia attività di amministratore.
Purtroppo, devo dire, con franchezza, che a Venezia ho trovato un “ambiente politico”, oserei dire “ambiente partitico”, abituato alla critica continua. Un clima legato più alle appartenenze e alle frequentazioni, fortemente arroccato contro l’idea della meritocrazia e della competizione.
È stata una palestra quotidiana utilissima. In questa esperienza di amministratore pubblico mi sono posto l’obiettivo di rispettare, per quanto di mia competenza, le promesse fatte in campagna elettorale. Se questo vuol dire passare per un eretico della politica, se vuol dire essere fuori da certi schemi, essere attaccato in ogni modo, allora non posso che farne motivo di vanto. Questa per me è la Politica, quella con la P maiuscola. Agli altri lascio volentieri la corsa agli annunci, io preferisco fare. Il loro modo di fare politica è esattamente l’opposto del mio. Poi, se devo essere sincero, sono convinto che la destra e la sinistra storiche nemmeno esistano più. Oggi lo scenario partitico è completamente cambiato: serve un impegno costante e serio verso la collettività, fra gente che condivide dei valori che sono universali. Quelli che necessariamente devono valere per tutti e sono lì, evidenti, scritti nella prima parte della Costituzione e nelle regole che guidano le nostre comunità. Sono sempre le persone a fare la differenza. L’esperienza di Confindustria mi ha insegnato ad essere “filogovernativo” quando si tratta di difendere gli interessi di un territorio. Con questo spirito ho sviluppato, da quando sono Sindaco, le interlocuzioni con i massimi vertici istituzionali, a partire dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e dal Presidente della Regione Veneto Luca Zaia, passando per i premier Matteo Renzi, Paolo Gentiloni e Giuseppe Conte. Tutte personalità alle quali sono riuscito a trasmettere la “specialità” di Venezia e che tanto ci hanno aiutato, in diverse forme ed occasioni, indipendentemente dalle loro appartenenze. Anche con i Sindaci metropolitani, coordinati da Antonio De Caro e Dario Nardella abbiamo costruito un filo diretto molto stretto, utilissimo durante tutta la pandemia”.
Cosa l’ha spinta, da imprenditore di successo, a prestarsi alla politica e a candidarsi? Oggi quel “movimento fucsia” che ha vinto nel 2015 e nel 2020 alle elezioni amministrative è ormai una realtà che ha raggiunto significativi successi.
“Quando mi sono presentato alla mia città ho messo a disposizione quello che ero e quello che ero stato capace di fare. Ho aperto le mani e le ho fatte vedere in un gesto di trasparenza totale. Questo sono io e questo posso dare alla mia gente. Bisogna però capire cos’era Venezia in quel momento. Dopo le dimissioni del sindaco in carica, uscivamo da una gestione commissariale. Era una città che non sapeva bene dove andare, delusa, arrabbiata, soffocata dai debiti, incapace di vedere il buono che ancora esisteva. In quella situazione di completo sbandamento ed in mancanza di un’alternativa credibile, avrebbe vinto un radicalismo ideologico, illiberale, quello dei comitati del no-a-tutto e dei centri sociali, i primi a darmi fiducia nel 2015 sono stati i vertici di Forza Italia, con Renato Brunetta e Marco Marin, a cui si è aggiunta Area Popolare. Al ballottaggio ci siamo allargati a Fratelli d’Italia e alla Lega. E qualcuno mi definì pure “il più renziano di tutti”. Oggi, cinque anni dopo, governiamo ancora con una maggioranza chiara, leale e trasversale, che tiene conto di sensibilità molto diverse, proprio come l’anima della nostra città, ma con alcuni capisaldi: la sicurezza, il lavoro, lo sviluppo sostenibile e l’economia circolare, la meritocrazia, la libertà declinata nelle sue diverse forme, la gestione del fenomeno migratorio, l’efficientamento della macchina amministrativa. Una coalizione di centro-destra a guida civica, uno schema aperto che con i dovuti correttivi territoriali, si può applicare in tutto il Paese”.
Un outsider della politica, dunque. E orgoglioso di esserlo. Ma qual è la visione metropolitana di sviluppo che ha in mente?
“Io sono convinto che questa terra abbia delle straordinarie potenzialità.
Cultura, economia, lavoro. Un tessuto sociale compatto e una ricchezza di valori che possono sostenere qualsiasi sviluppo. Geograficamente Venezia si trova al centro di un nodo infrastrutturale che guarda a tutta l’Europa, al centro di tutti gli assi verso l’Oriente e l’Occidente, dai Paesi del Nord Europa alle realtà del Sud d’Italia. È lo sbocco su mare e su terra della più importante e vasta area produttiva d’Italia, oltre quel Nordest che ha fatto grande e ricco il Paese intero. Treni, autostrade, pipeline, il terzo aeroporto d’Italia. Vanta rapporti diplomatici di privilegio con tutte le grandi realtà internazionali, possiede un brand che nessun’altra città al mondo può vantare. Alla Regata storica del 2019, sulla “Machina” ero seduto tra l’ambasciatore americano e quello russo. É stato emozionante vederli stringersi la mano. A Venezia ci sono inoltre più di 2.000 eventi culturali di qualsiasi natura all’anno, e lavorano istituzioni come la Biennale, il Teatro La Fenice, la Mostra del Cinema, la Fondazione dei Musei Civici, la fittissima rete civica, statale e privata dei musei fra i più belli e conosciuti al mondo. Un patrimonio naturalistico di una bellezza inimmaginabile.
Nel dicembre del 2018 abbiamo approvato il Piano Strategico Metropolitano, frutto dell’idea di lavorare assieme, senza una parte politica che prevalga e quindi sempre molto aperto ai cambiamenti. Un documento che è la perfetta sintesi di una nuova politica di coesione e condivisione, una comune visione di sviluppo del territorio, una comunione di intenti su progetti e cose da fare, invece che terreno di scontro tra ideologie contrapposte. Questo piano è la testimonianza delle istanze ed aspettative del territorio. Si presenta come un disegno ancorato ad una idea generale di fondo, quale la sinergia tra il valore attrattivo di Venezia e le potenzialità dei territori circostanti, destinata ad essere sempre più focalizzata nel tempo, sia sviluppando una più stretta connessione tra strategie ed azioni, sia fissando target ed indicatori. In Città Metropolitana, dove sono per la prima volta protagonisti tutti i primi cittadini del territorio, l’abbiamo votato all’unanimità, tutti e 44 i Sindaci assieme. Tutto questo lo mettiamo a disposizione del Paese”.
Eppure Venezia ha smarrito la propria vocazione industriale, il centro storico è noto più per le cronache di un turismo maleducato, la popolazione diminuisce. Venezia da trent’anni è raccontata come un malato sul letto di morte, e si aspetta che spiri da un momento all’altro. E poi, ora, la pandemia…
“Che sia una realtà complicata è nelle cose ma non mi stancherò mai di invitare tutti ad una lettura meno superficiale e miope di Venezia. È proprio quest’idea decadente e letteraria di “Morte a Venezia” che contesterò sempre, perché credo sia stata la causa di quasi tutti i suoi mali.
Quando ho avuto modo di incontrare oltre 200 rappresentanti delle TV di tutto il mondo, che si sono riuniti proprio nella nostra città, ho chiesto loro di sforzarsi a raccontare una Venezia diversa dai soliti cliché, una Venezia viva e vitale, una Venezia che guarda al futuro senza rinunciare alle proprie tradizioni e che si candida ad essere una delle Città Metropolitane più attrattive nel panorama mondiale. Lo stesso ho voluto farlo in conferenza al circolo della Stampa estera a Roma, poi li ho portati a Venezia perché facessero una esperienza diretta. Non volevo apparire superficiale e nascondere che ci fossero alcuni nodi da sciogliere e problemi da risolvere, peraltro spesso comuni ad altre realtà densamente popolate e con una forte pressione turistica, ma mi sembrava giusto ricordare loro che quei giorni di permanenza erano l’occasione per “imparare Venezia”, guardandola con occhi diversi: quelli di una città che ha saputo reagire al declino e sta rinascendo, valorizzando le eccellenze in ambito metropolitano.
Dobbiamo togliere quel filtro della lente deformante che qualcuno sistematicamente vuole utilizzare per spaventare o raccontare una Venezia di parte. Io vedo le potenzialità che ha la nostra città, sento l’orgoglio di chi ha il privilegio di vivere in questo territorio. E quando vado in giro per il mondo in rappresentanza della città, racconto questo mio sentire. L’ho fatto nei miei viaggi a Washington, Tokyo, Sidney, San Paolo del Brasile, Londra, Parigi, Bruxelles con la fiducia, con la passione e con la consapevolezza che tutto quel che non va, potrà essere sistemato e, con questo spirito, mi metto al lavoro per cercare una soluzione. A differenza di quello che sostiene qualcuno, infatti, il lavoro non si costruisce per decreto, il lavoro si crea con il coraggio, la fatica, con la costanza, con la determinazione, con l’impegno delle persone. E sono le persone che creano nuovi investimenti, le stesse che hanno bisogno di percepire che finalmente qui è vantaggioso investire perché questo è un posto sicuro, che dà certezze, dove ci sono servizi efficienti e, soprattutto, dove si vive bene”.
Fin dalla sua elezione i sondaggi le hanno riconosciuto, in più occasioni, un gradimento molto alto addirittura superiore a quello ottenuto dalle urne. Ma come si costruisce questo consenso, come si mantiene? Quanto conta la comunicazione nella costruzione del consenso? È l’azione di governo che porta consenso o è il consenso che porta al governo della cosa pubblica.
“Qualcuno obietterà a quello che sto dicendo, ma davvero, io non curo molto la mia immagine e la mia comunicazione. E di certo non mi faccio condizionare sulla base dei risultati di questo o quell’altro sondaggio. Certo, uso alcuni social network e ho una squadra che mi segue e racconta quello che faccio. Sarebbe però un’illusione se bastasse gestire la comunicazione per ottenere il consenso. Lo storytelling di quello che si fa serve, se fatto con onestà, per creare un dialogo con i cittadini, ma ricordiamoci che i cittadini non sono degli stupidi e vi assicuro che chi lavora solo per il consenso dura poco. Le persone sentono la passione e l’impegno di un amministratore. Percepiscono quando si sta impegnando per far funzionare le cose e realizza fatti concreti oppure se lancia solo annunci.
Io sono così, così come mi vedete. Ho un carattere spigoloso, perché pretendo molto da me stesso e lo esigo anche dagli altri. Il governo della città è il più nobile degli impegni. Chi amministra deve avere rispetto per quello che si trova a gestire perché questo non è patrimonio personale, dove se sbagli al massimo ne subisci le conseguenze in prima persona. Qui si tratta di beni di tutti i cittadini, della gente che fatica a trovare un lavoro, che magari non ha una casa o non sa quale domani dare ai propri figli, e della gente che paga le tasse, ma vuole sapere dove finiscono quei soldi. Sento la grande responsabilità di rappresentare tutte queste persone che hanno dato a me e alla mia squadra la loro fiducia. Al di là delle sfumature caratteriali, che ognuno può avere, lo faccio per amore. Per amore di Venezia e della mia gente. Dal 2015 lavoro gratuitamente per 16 ore al giorno a disposizione della mia città e, sinceramente, alcune volte credo che dovrei addirittura pagare per l’esperienza che sto maturando”.
Lei ha un approccio popolare nel rapporto con i cittadini di Venezia. Partecipa alle sagre, alle feste di quartiere, usa anche il dialetto nel comunicare, si commuove, sembra stare bene fra la gente.
“Sì, è vero. Mi piace stare in mezzo alla gente. Provengo da una famiglia semplice, una di quelle che si definirebbe normale. L’ambiente in cui sono cresciuto è quello della “periferia”, dove ci si confrontava con la voglia di crescere. Mi sono sempre sentito a mio agio fra queste persone, tra gente che ti guarda negli occhi e capisce subito se stai mentendo. Tra persone semplici si va al concreto, si guarda alla sostanza delle cose, ti dicono quel che pensano senza finte mediazioni o secondi fini. Magari ti criticano e lo fanno anche crudamente, ed io spesso rispondo per le rime, ma su tutto prevale il rispetto. Ecco, lì con loro non puoi fingere sui tuoi sentimenti, devi essere sincero.
È un grande privilegio oggi, da Sindaco, avere la possibilità di incontrare tanti cittadini, poter fare qualcosa anche per loro, per le loro famiglie. In questi anni ho conosciuto persone straordinarie che mi hanno sostenuto col cuore. Gente disponibile, sincera, piena di voglia di fare e che mi dà la carica ogni giorno. Se intendiamo l’aggettivo “popolare” come “vicino al popolo”, mi piace, perché rappresenta quanto di più nobile possa esserci per un amministratore della cosa pubblica. I social media ed Internet servono a far conoscere quello che viene fatto, servono per comunicare tutto in velocità e a sviluppare il dibattito, ma nulla potrà mai sostituire una passeggiata al mercato, una stretta di mano con un commerciante, un caffè preso al bar con i cittadini, o, come mi è accaduto poco tempo fa, una parola di conforto a chi si è visto portare via tutto dall’acqua alta di quella maledetta serata del 12 novembre o a chi fatica a ripartire nel bel mezzo di questa pandemia. Per me l’Amministrazione pubblica è come una casa di vetro, dove tutto è trasparente. Ci sarà sempre qualcuno che fraintenderà, spesso non in buona fede, ma è un’azione che va fatta. I cittadini hanno molte aspettative, spesso eterogenee tra loro, e non sempre è facile fare sintesi. Una cosa però è certa: faccio sempre tutto il possibile, e non lascio mai nulla di intentato.”
La sua visione di sviluppo e di futuro è declinata sull’area metropolitana di Venezia, ma continua a sostenere che “se riparte Venezia, riparte l’Italia”. Quale è la priorità oggi per il Paese, su cosa intervenire?
“Venezia è il paradigma e il modello di quello che potrebbe e dovrebbe essere l’Italia. Possiamo essere l’esempio da seguire. Un patrimonio straordinario con enormi potenzialità che ha faticato a trovare una strada di buon senso.
So per certo che questa città riuscirà a diventare un modello. Ne sono convinto perché ci sono tutte le condizioni perché accada. Fin dal primo giorno ho voluto insistere sul tema della sicurezza, anche a costo di farmi dare del “sindaco sceriffo”. Non mi importava. Me lo diceva la mia coscienza perché sono convinto che solo le persone sicure possono essere libere. La libertà è figlia della sicurezza e del decoro pubblico. E solo con questo potremmo avere una città più vivibile e quindi capace di attrarre investimenti e lavoro di qualità.
Un esempio pratico: ho fortemente voluto creare un’unità cinofila per sostenere e affiancare il lavoro dei nostri agenti di Polizia Locale. I primi due cani, Kuma e Luna, sono stati un preziosissimo e fondamentale strumento contro lo spaccio. All’inizio più di qualcuno ha ironizzato su questa scelta, ma i risultati ottenuti ci hanno dimostrato che siamo sulla giusta strada, tanto che, poi, sono arrivati in Città altri due cani, Lapo e Hadesz, ai quali si sono già aggiunti anche Warus e Coco. Altre priorità sulle quali intervenire sono le riforme istituzionali, il lavoro come valore, lo sviluppo della nostra industria e la difesa delle libertà. Bisogna crederci, l’Italia ha bisogno di crederci.
Dobbiamo cominciare a pensare ai giovani e a costruire quello che servirà loro. Esistono straordinari talenti nel nostro Paese come ad esempio nel settore dell’industria: ci sono imprenditori che rischiano del proprio, che si mettono in gioco con i loro patrimoni e con le loro capacità, dando lavoro a decine di migliaia di persone e ogni mattina, così come si alza il sole, loro ricominciano a combattere.
E non lo fanno da soli. Producono ricchezza non unicamente per il proprio tornaconto, ma anche per poter garantire lo stipendio ai dipendenti, che con quei soldi mantengono le proprie famiglie e sostengono il territorio in cui vivono. Queste persone affrontano ogni giorno la trincea e portano sulle spalle il peso delle loro scelte. A loro dobbiamo dare fiducia. Bisogna creare le condizioni perché possano impegnarsi per il Paese, a beneficio di tutti“.
Nel 2017 si sono celebrati i 100 anni dalla nascita di Porto Marghera. Lei è particolarmente legato a questa grande area industriale, 2.200 ettari di terreno che oggi in gran parte è dismesso. Suo padre, Ferruccio, è stato a lungo sindacalista e ha lavorato alla Montedison per una vita. Le fabbriche che hanno chiuso, le produzioni che non ripartono: lei racconta convintamente di una grande opportunità, ma come fare per farla ripartire?
“Sono convinto che Porto Marghera è la nostra grande risorsa: centro dell’economia di tutta l’area metropolitana e padana, polo attrattivo di investimenti per la realizzazione di un’industria compatibile. Dobbiamo riportare le fabbriche, i posti di lavoro, la manifattura.
Le condizioni ci sono tutte e ora è necessario spiegare ai possibili investitori la bontà di questa nostra proposta. Noi diamo la disponibilità delle aree, garantiamo alle imprese tempi e costi certi, regole chiare. Al Comune interessa solo che ci siano sicure risorse economiche del privato che vuole investire. Le imprese ci dicano quale fabbrica sostenibile vorrebbero realizzare in quegli spazi e quanti posti di lavoro portano.
Le celebrazioni del Centenario sono state l’occasione per raccontare una storia anche con modalità narrative diverse dal solito. Qui si è fatta la storia dell’industria e del movimento operaio, qui gli stessi lavoratori hanno saputo fermare le falangi terroristiche, pur con un doloroso tributo di sangue. Lo abbiamo fatto attraverso appuntamenti culturali come l’emozionante inaugurazione della stagione sinfonica del Teatro La Fenice il 3 novembre del 2017, con un concerto nel quale, grazie alla maestria di Fabio Vacchi, è stata data una veste sonora a quattro testi dei poeti di fabbrica; tra questi testi le poesie di mio padre. Lo abbiamo fatto anche con il concerto del 2 maggio 2018 presso lo “storico” capannone del Petrolchimico di Porto Marghera con il coro del Teatro La Fenice. Ma non solo con la musica, anche con i convegni e le mostre abbiamo ripercorso Porto Marghera, come accaduto con Industriae, allestita al Padiglione Antares del Vega, e con “Marghera 100” realizzata a Palazzo Ducale, nel cuore di Venezia, con la quale si è voluto illustrare il ruolo chiave che quell’area esercitò sul territorio di tutta la Città e sulla storia produttiva, economica, sociale e culturale, del nostro Paese.
Oggi, cento anni dopo, l’Ecodistretto a Marghera è una realtà e Venezia punta a diventare esempio, a livello mondiale, di come si possa essere una grande città sviluppando, al tempo stesso, un sistema e una mentalità sempre più green, ecosostenibile e impegnata nella riduzione dei rifiuti in un sistema sempre più avanzato di economia circolare. Un progetto che non è sulla carta, ma che stiamo già realizzando tanto che la nostra Città Metropolitana è la prima in Italia per la quantità di raccolta differenziata. Lo stiamo facendo con il sostegno di importanti gruppi privati come Eni che, con la nostra partecipata Veritas S.p.A., ha da poco firmato un accordo perché dal rifiuto si produca nuova energia come il biometano, il bio olio e l’idrogeno a km zero, secondo il principio “from waste to fuel”. Lo stiamo facendo investendo sempre più nella mobilità pubblica green con l’acquisto di nuovi autobus di linea elettrici e l’arrivo in laguna dei vaporetti alimentati a biodiesel generato dagli oli di frittura esausti. Stiamo scommettendo anche sull’idrogeno. Tutte iniziative che stanno portando i frutti sperati, tanto che la nostra Città è al terzo posto tra quelle italiane per mobilità sostenibile. Questa è una risposta a quelle istanze che ha portato una ragazzina di 16 anni, a nome di un’intera nuova generazione, ad urlare per la difesa del nostro pianeta Terra. E se qualcuno si ostina a non voler capire la deriva verso la quale stiamo andando, allora iniziamo noi a cambiare le cose, dando l’esempio. Io sono pronto. Venezia è pronta. Ed è per questo che ho candidato la Città a diventare il luogo per realizzare la sede di una agenzia delle Nazioni unite impegnata nello studio permanente sull’acqua e sugli effetti del cambiamento climatico”.
Il futuro di Porto Marghera è quindi l’ambiente?
“Non solo Porto Marghera! In questo difficile anno, segnato indelebilmente dalla pandemia da Coronavirus, siamo riusciti, con la collaborazione di tutti, a fare in modo che il Mose entrasse in funzione. Questo autunno in più occasioni abbiamo fermato il mare in condizioni di meteo davvero contrarie. Un’eccellente opera di ingegneria ha finalmente fatto parlare di sé per quello che in realtà rappresenta e non per tangenti e malaffare che ne hanno rallentato la costruzione. Una vera e propria diga a scomparsa, orgoglio per l’intero sistema Paese proprio per il suo alto livello di sostenibilità ambientale. E qui diventa fondamentale quel concetto di “ambientalismo progressista” al quale abbiamo tutti il dovere di guardare. Tutti quanti, oggi più che mai, siamo impegnati a fare, del nostro Paese, un territorio sostenibile, ma per farlo dobbiamo diventare paladini della verità e della scienza, dobbiamo rispondere con fatti concreti al partito del “No” a tutto in nome di una deleteria decrescita felice.
Il nostro impegno, quindi, deve essere quello di non minimizzare i rischi ambientali che possiamo trovarci a dover affrontare ma, al tempo stesso, valorizzare i sistemi tecnologici per superarli. Ecco perché Venezia continua a lavorare per una sostenibilità diffusa e, credetemi, se riusciamo a farlo in una città come questa, lo si può fare in tutta Italia. Stiamo portando avanti il nostro progetto, quasi completato, di elettrificazione degli autobus nell’isola del Lido e in quella di Pellestrina. A Mestre sta sorgendo il primo distributore fisso di idrogeno per automezzi e, con il sostegno del governo, vorremo fare in modo di incentivare i possessori di imbarcazioni a rottamare i vecchi motori a gasolio per passare all’elettrico o all’ibrido.
Qui stiamo facendo sperimentazioni e il nostro coraggio sta dando ottimi risultati. È prioritario, quindi, riconoscere che la forma più importante di prevenzione è la cultura e la consapevolezza. Un esempio su tutti: da tre anni come Città metropolitana siamo leader in Italia nella raccolta differenziata e anche la scorsa settimana proprio il CONAI ha assegnato al territorio metropolitano di Venezia il primo premio a livello regionale per il conferimento in ricicleria di tre materiali: acciaio, carta e plastica. Stiamo dimostrando come dai rifiuti sappiamo recuperare risorse ed energia, secondo il principio di economia circolare. Da ultimo, abbiamo ottenuto, in anticipo rispetto ai tempi previsti, la trasformazione della centrale a carbone di Fusina da carbone a gas, con forte riduzione delle emissioni climalteranti. Il CSS (Combustibile solido secondario), ovvero tutto quello che non è purtroppo riciclabile, verrà ora termovalorizzato in un impianto moderno, efficiente, con filtri adeguati e sistemi di controllo avanzati e dimensionato ai bisogni del nostro territorio. Ancora una volta dimostriamo come Venezia sia una città che ha nel proprio DNA la capacità di essere sempre luogo di futuro. Un risultato che parte da un pensiero organizzativo di tipo industriale, tramite la nostra municipalizzata Veritas, ma che passa dal comportamento individuale di ciascuno di noi. Quotidianamente possiamo, quindi, affrontare le difficoltà utilizzando le nostre conoscenze e diventando paladini della sostenibilità ambientale.
Queste sono le risposte alle domande sui temi ambientali che i ragazzi come Greta hanno posto”.
Lei è anche il sindaco della città Metropolitana di Venezia, un’area vasta, al centro di uno dei più nale “giovane” che deve trovare una identità coesa e condivisa. Quanto conta il nome di Venezia nel rapporto con gli altri 43 Comuni della Città Metropolitana di Venezia?
“Sono stato fra i primi a sostenere l’idea di Venezia come Città Metropolitana. Anzi, io sostengo da sempre che bisognerebbe parlare di area metropolitana facendo riferimento al contesto territoriale del bacino idrico che comprende certamente Venezia, Padova e Treviso, ma si allarga anche a parti di Vicenza, Belluno, Rovigo e Pordenone, in cui l’elemento di congiunzione è rappresentato dall’acqua, di superficie e sotterranea, dolce e salata. Un unicum sociale, economico, valoriale nel quale ogni città porta in dote la propria specificità e le proprie caratteristiche, a beneficio di tutti. Sono certo che solo uniti si possa essere competitivi e mettendo insieme le straordinarie peculiarità di ognuno di questi territori si abbia una forza sorprendente. Sto convincendo anche l’UNESCO che questa è la “buffer zone”, la zona di protezione dell’ecosistema lagunare, che guarda caso, si interseca con le Dolomiti e le colline del Prosecco. Il collante di questa realtà è proprio Venezia, con la forza di un nome conosciuto, apprezzato e amato in tutto il mondo. Un valore aggiunto che è un volano formidabile per attrarre nuove risorse e nuovi investimenti, per coinvolgere giovani talenti da scoprire e valorizzare, per promuovere all’estero le tante eccellenze che ci contraddistinguono nelle singole, straordinarie realtà, che con la propria autonomia e la propria specificità compongono un Ente che dev’essere utile a tutti”.
Lei è nato imprenditore, ha costruito, quasi da pioniere, una delle più importanti aziende di servizi del Nordest, fra le prime agenzie per il lavoro in Italia. Il privato e il pubblico: ambienti diversi, linguaggi diversi e spesso distanti, altro modo di lavorare e di fare le cose. Si pensa spesso che la Pubblica Amministrazione viaggi con il freno della burocrazia costantemente tirato. Una corrente contraria che impedisce di muoversi agevolmente. È così? E qual è per lei la più grande dissonanza che ha trovato fra questi due mondi. E cosa le è sembrato più difficile da superare?
“Io non credo che la Pubblica Amministrazione, nella sua generalità, sia necessariamente un carrozzone difficile da governare e poco efficiente. Penso invece che la Pubblica Amministrazione sia fatta di persone che devono avere un obiettivo, delle regole chiare. Dipendenti che devono essere motivati e premiati quando fanno bene, corretti se sbagliano. Devono dimostrare passione per il loro lavoro che è fra i più nobili: servire il cittadino è il faro che muove il lavoro dell’amministrazione pubblica.
Se è vero che il Comune non è un’azienda, visto che ha processi organizzativi diversi e catene di comando più lunghe, è pur vero che, per questo, non deve necessariamente essere inefficiente. Per anni i dipendenti pubblici hanno vissuto una condizione di intoccabilità, di premialità a “pioggia” e sono stati supportati da forme esasperate di sindacalizzazione. Vincevano i furbi, magari con la tessera di qualche partito che li copriva. In campagna elettorale lo avevo detto: non votatemi se volete che tutto rimanga com’è. E dopo 5 anni posso dire che di strada ne abbiamo fatta tanta. Dai primi atti unilaterali, ora abbiamo sottoscritto un contratto decentrato validato anche da un referendum tra tutti i lavoratori. Ho anche proposto di eliminare il concetto del “cartellino” da timbrare. L’idea è stata rispedita al mittente, purtroppo non sono ancora maturi i tempi. Nel torpore generale si pensa che la cosa pubblica sia di tutti e dunque di nessuno. Io quest’idea non la accetto, e non solo perché arrivo dal mondo delle aziende dove ci si misura con i numeri, ma perché la trovo profondamente ingiusta. Soprattutto per i cittadini. Nel pubblico il lavoro, sia quello di un usciere o quello di un direttore generale, deve essere fatto ancora meglio che nel privato, con ancora più perizia e passione perché lo fai per un bene collettivo, per un servizio ai tuoi concittadini che si fidano di noi.
Si tratta di quella fides pubblica di cui parlavano i romani che non ti consente superficialità o ancor peggio tradimento. Meritocrazia, impegno, obiettivi da raggiungere, talento, responsabilità: sono queste le parole che devono circolare nell’Amministrazione Pubblica. Parole che già albergavano nelle stanze di Ca’ Farsetti dove ancor oggi ci sono straordinarie persone e ottime competenze, ma diciamo che negli anni erano state soffocate dal sistema.
Penso, infine, che dobbiamo urgentemente riformare la struttura dello Stato, magari riprendendo anche l’idea delle macroregioni, renderlo più snello e più vicino ai cittadini. Ecco perché ho sempre sostenuto e continuerò a sostenere la battaglia del Presidente della Regione Luca Zaia per l’autonomia. Sono pronto a girare con lui, appena si potrà, l’Italia per spiegare come gestiamo lo sviluppo economico, le imprese, la sanità, il turismo, per vincere le differenze su chi non crede all’autonomia partecipata, dove si valorizzano le eccellenze. Dobbiamo trovare il modo di creare un clima di rilancio nazionale, e chi, come me, ha l’onore di fare l’Amministratore, deve dare il buon esempio. Forse più che di un Presidente del Consiglio, occorrerebbe un Sindaco d’Italia.
Come primo cittadino ho dimostrato che è possibile tagliare gli sprechi e le inefficienze senza toccare i servizi, facendo sì, proprio a Venezia, che è possibile calare il debito cosicché i nostri figli non abbiano questa immensa spada di Damocle sulla testa. Tutto questo forse non sarà elettoralmente conveniente, ma so di aver fatto il mio dovere nei confronti dei miei cittadini e di quei giovani ragazzi che oggi non votano, ma sono il nostro futuro. Credo che la nostra classe dirigente debba fare delle scelte strategiche forti per il Paese, debba credere nella competizione e nella meritocrazia in ogni settore. Quando vai dal medico non ti interessa sapere di chi sia figlio o cosa voti, ma pretendi che sia bravo, perché affidi la tua vita nelle sue mani.
Dobbiamo tornare ad essere un Paese che crede nella ricerca e nella tecnologia, dobbiamo far crescere le nostre imprese in tutti quei settori che ci hanno sempre visto competitivi e forti a livello internazionale. Ogni territorio deve poter valorizzare le sue energie migliori e metterle di conseguenza al servizio del Paese intero in una nuova riorganizzazione delle funzioni e dei poteri. Sono un ottimista di natura e credo che la fatica, l’impegno, la voglia di mettersi in gioco, alla fine paghino. E sono convinto che i nostri giovani di talento siano capaci di giocare questa partita alla grande. Abbiamo l’immensa responsabilità di non deluderli. Il nostro compito è eliminare dal campo quegli ostacoli che potrebbero rallentare la loro corsa e sostenerli, incoraggiandoli, da bordo campo, perché non devono mollare. Dobbiamo far capire loro, con l’esempio, che i più bravi, quelli più meritevoli, quelli che non si arrendono alle sconfitte, ce la fanno. E che ciascuno può trovare il campo dove eccellere, se si impegna a fondo.
Il lavoro non è finito, anzi. C’è ancora tantissimo da fare. L’occasione nel 2021 delle celebrazioni dei 1.600 anni dalla Fondazione di Venezia servirà a raccontare tutto questo. C’è bisogno di tutti, ecco perché la mia proposta di partecipazione è sempre aperta. C’è spazio per quell’altra Italia che non vive con l’ansia quotidiana dei social, ma che lavora a testa bassa per il futuro dei nostri figli e dei nostri nipoti. Ognuno può trovare la propria dimensione di impegno e di successo. A Venezia si dice “gheapodemofar”. Insieme”.
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Giganti # 1 (gennaio-febbraio 2021) | Pagina 54-71