Storia del mito orogranata
Da tutti conosciuta per le squadre di basket, la gloriosa Reyer è in realtà una polisportiva fondata nel 1872. Ripercorriamo i passi di un cammino pieno di soddisfazioni, cadute e risalite. L’ultima delle quali ha soprattutto un nome: Luigi Brugnaro
I termini “Reyer” e “basket”, nell’immaginario collettivo sportivo, suonano quasi come due sinonimi. E, in effetti, la Reyer Venezia è a pieno titolo una delle società veramente “storiche” della pallacanestro italiana, insieme a poche altre “elette” in un panorama cestistico che ha saputo scrivere anno dopo anno storie e pagine differenti, con la crescita e il declino di tante realtà e l’avvento di nuove forze.
La Reyer, in questo variegato mondo in divenire attorno a una palla a spicchi, ha avuto la forza e la capacità di esserci sempre. Sia pure tra alti e bassi. E, ad un tratto, anche “novella Fenice”, capace di risorgere dalle proprie ceneri dopo il più beffardo dei fallimenti. Beffardo perché giunto giusto all’indomani di una di quelle favole sportive che lasciano il segno: la promozione in A1 da outsider, conquistata sul campo e poi cancellata con un colpo di spugna, che non è però riuscito a cancellare la passione per la pallacanestro della città. Perché Venezia, una “nuova” Venezia dai primi respiri metropolitani, si è rimboccata le maniche e ha saputo ripartire da zero, grazie al cuore di tante persone.
E, senza nulla voler togliere a tutti coloro che hanno dato il loro contributo, quella solida scala che l’ha riportata nell’estate del 2017 a riconquistare lo scudetto (bissato nel 2019, con il piacevole intermezzo della prima vittoria europea, in FIBA Europe Cup nel 2018, e la successiva prima Coppa Italia della storia orogranata nel 2020), la Reyer l’ha potuta costruire, mattone dopo mattone, grazie, prima di tutto, a Luigi Brugnaro, alla sua visione dello sport come momento di crescita delle persone in quanto tali, prima che delle stesse come atleti. Quello che, in fondo, era negli intenti e nei princìpi che ispirarono, quasi un secolo e mezzo fa, coloro che fortemente vollero la nascita di questa società, mostrando quella lungimiranza che, dopo tanti anni, ha animato anche l’azione di Brugnaro.
Perché la Reyer ha avuto, nella sua lunghissima storia, anche un altro merito: quello di sapersi ripensare e ricostruire, aggiungendo nuovi aspetti e sfaccettature che hanno arricchito il patrimonio culturale della società e hanno introdotto nel mondo dello sport più ampiamente inteso un modo diverso di pensare l’attività e i valori di un club. Se, per la stragrande maggioranza degli appassionati, la Reyer è la squadra di basket orogranata col tricolore sul petto, non sono ad esempio in molti, al di fuori di Venezia (ma probabilmente anche in città…), a sapere che la pallacanestro è stata l’ultima tra le varie discipline “ginniche” dell’epoca a essere introdotta tra le attività della Reyer (e, da buona cenerentola, ne è poi diventata il punto di massimo orgoglio).
Quando si parla di “Reyer 1872”, il riferimento va infatti a due amici, Costantino (Reyer, appunto) e Pietro (Gallo) che, dopo essersi conosciuti a Torino 148 anni fa, unirono passione ed entusiasmo nel cercare di diffondere nel nostro Paese una nuova idea di educazione fisica. Reyer nasce dunque come società di ginnastica, con la scelta di Venezia come terreno fertile per far sì che la nuova cultura sportiva si diffondesse sempre più tra la popolazione. Una ginnastica che, da applicazione rigorosamente militare, diventasse una pratica davvero aperta a tutti e funzionale allo sviluppo sociale del popolo, tant’è che il suo motto era “Dovere e Libertà”. E la Società Veneziana di Ginnastica, dedicata da Gallo all’amico Costantino (che nel 1872 non era presente a Venezia), ben presto allargò il proprio ambito di attività alla voga e alla scherma, al nuoto e al tamburello, al calcio e al pugilato o all’ormai dimenticata “palla vibrata”. Fino al basket.
E qui ci si permetta di spostare, sia pur di poco, il fuoco dell’attenzione dalla Società Sportiva Costantino Reyer alla città, Venezia, di cui difende i colori. Perché c’è un altro dato storico che conferma la lungimiranza dell’idea dei fondatori della Reyer di scegliere il capoluogo lagunare come ambito ideale per trovare il giusto volano alla diffusione della cultura sportiva. Il basket, inventato oltre oceano dal professore di educazione fisica canadese James Naismith nel 1891, sbarcò infatti in Italia proprio sulle rive della Laguna. Parliamo del 1907. Il luogo è l’isola di Sant’Elena (che gli sportivi oggi abbinano solo al vecchio stadio “Pierluigi Penzo”, che continua a ospitare le partite di calcio del Venezia in Serie B). La protagonista è una donna: Ida Nomi Venerosi Pesciolini (e, per inciso, è curioso sottolineare che l’“omologa” nostrana di Naismith fosse maestra di sport alla Mens Sana in Corpore Sano di Siena, altro nome nobile della pallacanestro italiana…).
Nello “Stadion” costruito sul prato ex piazza d’armi dove al giorno d’oggi inizia la pineta che accoglie chi arriva nell’isola, al settimo Concorso Ginnastico Nazionale viene presentata pubblicamente, ai presenti assiepati sulle tribune in legno allestite per l’occasione, la prima esibizione pubblica del nuovo sport. In pratica, si può davvero dire che, con la prima partita “ufficiale” disputata sul terreno del nostro Paese, è a Venezia che è nata la pallacanestro italiana. Un “giuoco ginnastico” le cui regole, da poco codificate in un college americano, vengono tradotte e riassunte dalla benemerita Pesciolini in un opuscoletto. Si dice che Reyer e Gallo fossero presenti. Di certo, la stampa dedicò un grande rilievo all’avvenimento. Di certo, tutto partì da lì.
Un “tutto” che, tornando nel seminato del racconto della Reyer come società-simbolo del basket, vive un altro momento importante, nel primo dopoguerra, sempre nella pineta di Sant’Elena e sempre per il Congresso nazionale (giunto alla decima edizione) della Reale Federazione Ginnastica Nazionale Italiana. Nel frattempo, Pietro Gallo, deceduto a Pieve di Soligo nel 1916, non c’è più e anche Costantino Reyer (che morirà a Graz alla veneranda età di 93 anni) si è ovviamente defilato. Ma la passione per la pallacanestro, a Venezia, è tutt’altro che scemata, tant’è che alla Reyer è affidata l’organizzazione di quello che è una sorta di primo campionato di basket italiano. Che però non viene vinto dalla Reyer, visto che, anche se i pareri non sono univoci, sembra che ad imporsi sia stata la Società Educazione Fisica Costanza di Milano.
L’appuntamento con il tricolore, comunque, è solo rinviato, per la società veneziana. Che, ad onor del vero, in bacheca ha già degli scudetti: quello della squadra maschile di palla vibrata nel 1904 e quello della squadra femminile di tamburello nel 1920. Ma bisogna arrivare agli anni Quaranta per togliersi la soddisfazione di primeggiare anche nella pallacanestro. È la Reyer del presidente Colombo e dell’allenatore Vidal, di Amerigo Penzo e dei fratelli De Nardus, di Gigi Marsico (che, perché imbarcato in nave come militare, non poté giocare la gara decisiva contro la Mussolini Parioli Roma di un certo… Vittorio Gassman) e degli altri atleti i cui nomi sono entrati nel mito. Nomi epici per quei tifosi che, quelli scudetti, li hanno vissuti a lungo come l’esempio impossibile di un’era lontana (ma mai dire mai, come dirà la stagione 2016/17…). È la Reyer della “Misericordia”, la Scuola grande eretta dal Sansovino e poi convertita nella più incredibile delle palestre, prima di virare ai giorni nostri verso una nuova “terza vita” dopo il restauro che l’ha restituita alla città (ma questa è un’altra storia). Una Reyer che bissa subito il titolo e, anzi, farebbe anche tris, se un reclamo della Ginnastica Triestina impedisse l’omologazione del titolo del 1944. Terzo scudetto reyerino che, in ogni caso, arriva nel 1946, stavolta però grazie alla squadra femminile.
Alti e bassi, come si diceva all’inizio. Perché ai trionfali anni Quaranta seguono i ben meno soddisfacenti anni Cinquanta, con la prima retrocessione in B nel 1956/57 (e addirittura poi all’autoretrocessione in C per problemi di bilancio). Ma la Reyer ha nel suo dna la capacità di non mollare mai. E così, sotto la presidenza di Giancarlo Ligabue, gli orogranata rialzano la testa e, con Giulio Geroli in panchina, tornano nel 1963/64 in massima serie. Nel raccontare in poche righe quasi 150 anni di storia, è giocoforza possibile soffermarsi solo su alcuni aspetti. Così, per gli anni Settanta, al di là dei risultati sportivi, il punto caratterizzante è l’addio alla Misericordia, palazzetto ormai non più adeguato alla crescente dimensione del fenomeno cestistico, con l’apertura, nel 1977, del nuovo palasport dell’Arsenale, comunque in centro storico, in cui la Reyer si trasferisce dopo un breve esilio a Vicenza. All’Arsenale, e siamo agli anni Ottanta, i tifosi orogranata assistono alle gesta di campioni del basket internazionale, come (in un periodo in cui il campionato professionistico americano era ancora “inarrivabile” e la “mobilità” verso i tornei europei un’eccezione e non la regola) la stella NBA Spencer Haywood o il leggendario cecchino jugoslavo Drazen “Praja” Dalipagic, coppia di stranieri (per i più giovani: a quei tempi i non italiani in squadra erano solo due…) che nel 1980/81 trascina la Reyer non solo alla promozione in A1, ma anche fin quasi sul tetto d’Europa, con la finale di Coppa Korac persa in volata (105-104) a Barcellona contro la Joventut Badalona. E anche negli anni dell’altalena tra A1 e A2 arrivano momenti storici, come i 70 punti messi a segno nella stagione 1986/87 proprio da “Praja” Dalipagic (tornato a Venezia dopo qualche anno) nella vittoria contro un’altra grande del basket italiano come la Virtus Bologna. Ancor oggi una targa marmorea a ricordo dell’impresa accoglie chi arriva al palasport. Ormai siamo quasi (già, quasi, perché è passata più di una ventina d’anni!) ai giorni nostri, con gli anni Novanta che iniziano con il trasloco dall’Arsenale (a sua volta diventato troppo piccolo per i nuovi standard della Federazione) al Taliercio di Mestre e la già citata stagione 1995/96, quella della vittoria per 92-88 in gara-5 della finale playoff al Taliercio contro Rimini e della promozione cancellata dal fallimento societario dichiarato pochi mesi prima.
Tutto finito? Il sogno che si sgretola all’alba del nuovo millennio? Sarebbe troppo doloroso, anche pensando ai circa 4.500 spettatori stipati sulle tribune del palasport nel giorno dell’ultima, sia pur vana, promozione. E così si riparte. Dal fondo. Dalla fusione con la società Chirignago-Gazzera, espressione di un quartiere di terraferma della città, che consente di ripartire nella stagione 1997/98 dalla C/2. Si riparte col piede giusto, con una promozione, ma la strada della risalita è lunga. Passo dopo passo, dalla C/1, si sale in B/2 (1999/2000), poi in B d’Eccellenza (2005/06). Ed è qui che le strade della Reyer incrociano in maniera determinante la grande volontà e la passione “solidamente visionaria” di un “gigante” come Luigi Brugnaro. Da semplice sponsor della Reyer femminile, Brugnaro decide di fare il “grande passo”, facendosi promotore dell’innovativo progetto sociale e sportivo da costruire attorno alla Reyer.
L’atto formale che porta alla nascita della nuova “Reyer Venezia Mestre” è l’operazione di aggregazione tra Reyer 1872, Basket femminile Venezia Reyer e Bears Mestre, per dare vita ad un’unica società che permetta di convogliare gli sforzi del territorio in un’unica direzione. Si potrebbe, a questo punto, continuare a parlare dei successi sportivi: il ritorno tra i professionisti della LegaDue del primo giugno 2008; quello in Serie A dell’estate 2011, al termine di una lunga battaglia portata avanti con caparbietà e fierezza dalla società per difendere i diritti sportivi guadagnati sul campo, trovando alla fine pieno riconoscimento delle proprie istanze nel pronunciamento dell’Alta Corte di Giustizia Sportiva; gli exploit dei primi anni di Serie A e il progressivo consolidamento al vertice della squadra; il trionfo dello scudetto 2016/17, terzo titolo tricolore della prima squadra maschile a 73 anni di distanza dall’ultima vittoria in campionato. O la Coppa Italia femminile vinta il 16 marzo 2008 che, nonostante la scelta coraggiosa fatta nell’estate 2011 di azzerare tutto e ripartire dalla Serie B, puntando sulle ragazze del settore giovanile, è oggi a pieno titolo tra le realtà-traino dell’intera pallacanestro femminile italiana. Nel settembre 2020 infatti, conquista la Supercoppa di Lega Femminile battendo in finale la squadra di casa del Famila Schio. Potremmo farlo. Ma, chiudendo il cerchio, ci piace ancora una volta spostare la prospettiva.
Perché, come detto, la Reyer è stata capace, nella sua lunga storia, di anticipare i tempi, di aggiungere con coraggio nuovi e spesso più importanti valori alla pur preziosissima tradizione. Se così, agli albori, la società di ginnastica seppe vedere nella nascente pallacanestro una strada da perseguire e promuovere, raggiungendo poi i risultati che abbiamo cercato di riassumere, oggi (o, meglio, negli ultimi dodici anni, dall’avvento di Luigi Brugnaro con il suo progetto, del quale i fatti stanno confermando la bontà) l’Umana Reyer cerca di essere, ed è, qualcosa di più della “semplice” squadra campione d’Italia di basket. C’è un settore giovanile che vince (21 scudetti), ma soprattutto funge da punto di riferimento per le nuove generazioni e le famiglie dell’intero territorio metropolitano, largamente inteso, con un “Progetto Reyer” che vede l’adesione di 37 società e 6.000 atleti. C’è l’attenzione alle nuove generazioni che parte sino “dalla culla”: ai genitori dei neonati del territorio viene consegnato un cofanetto contenente una mini t-shirt Reyer, una tessera per l’ingresso alle partite fino al compimento del 12° anno e una lettera di “Benvenuto al mondo” tradotta in 5 lingue (ad oggi sono oltre 110 mila i kit consegnati negli ospedali del territorio). Prosegue poi con il minibasket, entra nelle scuole dell’infanzia, elementari e medie (con il “Progetto scuola”, che avvicina i più piccoli alla pratica del basket), fino a coinvolgere nel grande torneo scolastico della Reyer School Cup ben 48 istituti superiori del territorio. E non solo con i 600 studenti/atleti, ma con tutti i loro 40.000 iscritti, impegnati nelle attività “di contorno” (dalla comunicazione al “tifo positivo”) all’evento sportivo, per formare ad un approccio di più ampio respiro al fenomeno sportivo. Il tutto portato avanti con grande responsabilità sociale e massima attenzione ai valori, come garantisce anche Esicert, visto che, fin dal 2011, quella orogranata è la prima società italiana di basket ad aver ottenuto la Certificazione “Etica nello sport”.
In una parola, tutto questo è “Reyer”.
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Giganti # 1 (gennaio-febbraio 2021) | Pagina 38-53