Un anello è per sempre

Un anello è per sempre

Tre anni impagabili ai Toronto Raptors, vincendo pure il titolo NBA del 2019, in una finale storica. Da assistente di Nick Nurse, con delega ampissima: per conferma, chiedere a Kawhi Leonard…

È il 25 luglio 2018 il giorno in cui Sergio Scariolo diventa ufficialmente un Raptor. Da Toronto, nell’annuncio della composizione nel nuovo coaching staff, c’è anche il suo nome nella numerosa schiera di assistenti di Nick Nurse, e fa un po’ effetto vederlo mischiato a quello di altri soggetti che hanno un centesimo della sua esperienza in panchina. Sono Adrian Griffin (ha giocato a Roseto) e gli ancor meno noti Nate Bjorkgren e Phil Handy, oltre ai confermati Patrick Mutombo (anche lui da giocatore in varie squadre italiane), Jim Sann e Eric Khoury. Ma inutile stupirsi, nell’NBA va così.

Solo due settimane prima Nurse, 51enne dello Iowa con scarse referenze sia da giocatore (qualcosina nella lega inglese…) che da allenatore (college di secondo piano, leghe minori europee, D-League, poi cinque anni da vice di Dwane Casey ai Raptors), era stato nominato head coach, vincendo all’ultimo la concorrenza di Ettore Messina, toh chi si risente. Nurse insomma non solo ha sei anni in meno all’anagrafe, ma anche un curriculum assai meno prestigioso, soprattutto a livello internazionale, di uno Scariolo che ha già in saccoccia tre vittorie agli Europei, eppure tra i due nascerà un sodalizio fortissimo, fatto di fiducia e lealtà reciproche, mettendo sempre il bene del gruppo davanti a tutto.

Dopo tre stagioni di sola nazionale spagnola, per Scariolo il ritorno alla vita di club è un salto carpiato, l’ennesima svolta secca di una carriera mai banale: a 57 anni torna a fare l’assistente, quasi tre decenni dopo l’ultima esperienza da vice a Pesaro, ma vola a farlo in NBA. Un mondo ancora lontano, diverso, diffidente da tutto ciò che proviene dall’Europa che non siano giocatori. Una sua recente dichiarazione su Kawhi Leonard lo fa capire bene: «I primi mesi nemmeno mi salutava. Ma nei playoff veniva da me prima di ogni partita, voleva sedersi e parlare di cose tecniche. Nell’NBA è difficile trovare il modo di farsi rispettare». Ma Scariolo lo trova, quel modo. «Basta tenere l’ego chiuso in un cassetto» dice a Sky Sport dopo un mese di stagione. Con i Raptors che hanno 9 vinte nelle prime 10. La squadra ha due superstar, Leonard appunto, appena arrivato da San Antonio, e la bandiera del club Kyle Lowry, cui si aggiunge un veterano affidabile come Danny Green e un gruppo di emergenti interessanti in Pascal Siakam, Fred VanVleet, OG Anunoby. Poi ci sono gli spagnoli: fin dall’inizio Serge Ibaka, da febbraio 2019 anche Marc Gasol, ottenuto sacrificando Jonas Valanciunas, Delon Wright e C.J. Miles. A Toronto cioè sia il centro titolare che il suo cambio sono già stati mille volte in battaglia agli ordini del vice di Nurse, ma con la canotta giallorossa della Spagna.

I Raptors insomma sono un gruppo forte, che fa ben sperare, ma forse non al punto di poter arrivare sul tetto del mondo. Invece è una corsa memorabile: 58 vinte e 24 perse, secondi a Est dietro Milwaukee, battuta 4-2 in finale di conference. Ma il turno prima c’era stato il massacrante 4-3 su Philadelphia, con gara7 vinta grazie a un tiro di Leonard che resta unico nel suo genere, da angolazione impossibile, che il mondo intero ha visto in video pensando una volta di più a quanto sia pazzamente meraviglioso il gioco del basket. «Una cosa che dico sempre, e che ricordo soprattutto a me stesso, è che senza fortuna non si va da nessuna parte. Certo ci sono il lavoro, la dedizione, la passione, tutto fondamentale, vale anche per me, ma poi ci sono gli episodi, e alla fine devi sempre essere grato per tutto quel che ti succede». E a Scariolo succede di vincere l’NBA, contro una delle squadre più forti dei tempi moderni. La Finale, la prima di sempre per un team canadese, è contro i Golden State Warriors a caccia di uno storico, ma pronosticato da molti, three-peat. Sono lo squadrone di Steph Curry, Kevin Durant (ma si è rotto il turno precedente), Klay Thompson (si rompe in gara6) e Draymond Green, già campioni 2015, ’17 e ’18, che provano di trasformarsi nella dinastia del nuovo millennio: non esiste al mondo un livello di basket più alto.

A fare la storia del basket invece saranno i Raptors, prima squadra non statunitense a vincere il titolo NBA: in gara6 Curry ha il pallone che vale il 3-3 (ed eventuale gara7 a Oakland), si libera di Van Vleet, ha poco tempo ma buona visuale, per uno come lui non sarebbe un tiro difficile, ma va sul ferro. MVP della Finale è Leonard, ma è tutto ciò che resta di statunitense di una NBA più globalizzata che mai. Miglior giocatore della stagione un greco (Antetokounmpo), miglior difensore un francese (Gobert), rookie dell’anno uno sloveno (Doncic), uomo più migliorato un camerunese (Siakam) nella squadra campione canadese, con due spagnoli e un vice allenatore italiano. E una città, Toronto, impazzita di gioia, un milione di persone in strada il 17 giugno 2019 per una parata da togliere il fiato. «E’ la magia della prima volta che si vince. Quando si sa di aver fatto la storia. Un po’ come a Malaga» valuta quello che diventa il secondo italiano di sempre (dopo Marco Belinelli nel 2014, suo giocatore alla Virtus qualche anno dopo) a vincere il trofeo di campione NBA. Anche l’ultimo, chissà per quanto altro tempo. E’ un’estate straordinaria per Scariolo. Poche settimane dopo, a fine agosto, per i Mondiali in Cina, torna nelle vesti di allenatore capo e conduce la Spagna a una nuova, gigantesca impresa, stavolta in ambito Fiba. Vince anche lì, e può dirsi doppiamente campione del mondo in carica. Nel giro di tre mesi ha trionfato sia nel massimo torneo mondiale a livello di club che in quello per nazionali.

La stagione successiva è quella accorciata dal Covid, si conclude nella bolla di Orlando, i Raptors hanno un eccellente bilancio 53-19, secondi nella lega in stagione regolare, ma cedono 4-3 con Boston al secondo turno di playoff. Un altro pezzetto di storia Scariolo lo fa lo stesso, il 27 febbraio 2021, quando allena, e vince, la sua prima gara da head coach NBA. Succede infatti che Nurse e altri cinque membri dello staff dei Raptors vengono trovati positivi al Covid, e fermati. Il coach italiano invece, appena uscito dalla quarantena per aver guidato la Spagna in una finestra Fiba in Europa, ha il via libera e può andare con la squadra. Con lui i Raptors battono 122-111 gli Houston Rockets. E’ il secondo allenatore italiano ad arrivarci, l’altro era stato ovviamente Messina, sempre lui, alla guida degli Spurs in sostituzione di Gregg Popovich nel 2014.

Siamo alla stagione 2020/21, ancora con molte anomalie per via della pandemia (causa restrizioni del governo canadese, le partite in casa le giocano a Tampa), tra molte difficoltà Toronto fa fatica, chiude con bilancio molto negativo, 27-45, niente playoff. L’avventura canadese potrebbe anche continuare, con coach Nurse - che ha nel frattempo firmato un’estensione contrattuale fino al 2024 - c’è sempre totale sintonia, ma è venuto il tempo di girare di nuovo pagina. I tre anni di Scariolo con i Raptors si chiudono ufficialmente il 17 giugno 2021, il giorno dopo la Virtus dà l’annuncio della sua firma per il club bianconero, il 22 è a Bologna per la presentazione. C’è giusto il tempo per le strette di mano, le foto di rito, e per un pensiero finale sull’esperienza nordamericana. «Non è stato facile lasciare Toronto, avevo contratto e ci stavo veramente bene. In alcuni momenti mi sono sentito molto importante, ad esempio nei playoff del primo anno. Poi è vero, l’NBA per certi ruoli è inaccessibile. Ma non ero andato lì con l’ossessione di diventare head coach, volevo solo immergermi completamente nel gioco e sono contento di averlo fatto, ho imparato moltissimo». E poi via, altro giro in direzione Tokyo, da lì a pochi giorni c’è un’Olimpiade da onorare.

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Giganti # 11 (maggio 2023) | Pagina 82-85

Redazione Superbasket

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