¡Que viva España!
Un viaggio lungo un quarto di secolo, in un paese che gli ha dato tutto: successo, gloria, sentimenti. Vitoria, Madrid, Malaga e soprattutto la Nazionale, in un susseguirsi di ricordi, emozioni, medaglie. Per diventare a tutti gli effetti un Grande di Spagna. Anzi, Grandissimo
In spagnolo l’espressione corretta è “puerta giratoria”, ma per descrivere lo sbarco di Sergio Scariolo in Spagna preferiamo tenerci il più caro, e diffuso, concetto di “sliding doors”. Sì perché le coincidenze che spinsero il coach bresciano per la prima volta in terra iberica non furono né poche né banali, e quell’approdo poi si concretizzò negli anni successivi in una serie incredibile di successi e trionfi, non solo in campo.
Correva l’estate 1997 e dopo aver chiuso già da qualche mese una parentesi di quattro anni sulla panchina della Fortitudo, l’idea era quella, mai sbagliata, di viaggiare, arricchirsi, documentarsi. In uno dei tanti tornei estivi che negli Stati Uniti consentono di incrociare talenti spesso destinati a rimanere nel sommerso, ecco l’incontro con Alfredo Salazar, vulcanico general manager del Baskonia, uno che tra gli altri ha portato alla ribalta europea gente come Marcelo Nicola, Andres Nocioni e Luis Scola. Scariolo non ha fretta di tornare in panchina, ma la prospettiva di rimanere un secondo anno ai box non è certo piacevole. Sul tavolo c’è un’offerta importante della Benetton Treviso, che però sta aspettando la decisione di Zelimir Obradovic, promesso sposo del Real Madrid. La panchina del Tau Vitoria è occupata dal compianto Manel Comas e dunque non ci sono margini per ipotizzare una trattativa con Salazar. Ma “Puerta giratoria” o “Sliding doors” che sia, nel giro di pochi giorni lo scenario si ribalta. Obradovic molla la pista madrilena e si accasa alla Ghirada, Aito si concede un anno di riposo e la panchina del Barcellona viene immediatamente occupata da Comas. Di fatto, abboccamenti con la Benetton chiusi e possibilità di approdare a Vitoria apertissima. L’accordo si trova in un amen e l’atterraggio in Spagna è morbidissimo.
La società ha una struttura semplice, è solida, organizzata: si respira passione spontanea per la pallacanestro nell’ambiente e nella città, si lavora in modo pragmatico e senza voli pindarici. L’analogia con Pesaro, nella testa di Scariolo, è tanto immediata quanto centrata. Il Tau è una realtà in crescita, come tante altre in quegli anni nella lega spagnola, ma non ci sono ambizioni immediate di vertice. Sotto canestro arrivano Brent Scott e Pat Burke, poi Salazar e il coach decidono di attendere i tagli NBA di fine ottobre ingaggiando nel frattempo due solidi giocatori destinati però al taglio. La scelta si rivela vincente, nonostante le sei inattese vittorie consecutive in avvio di stagione paradossalmente rischino di mettere in discussione la condivisa strategia iniziale.
Società e coach tengono duro, le firme di Elmer Bennett e Mica Beric arricchiscono il patrimonio di talento del roster (ah, a completare il gruppo dei lunghi c’è anche un certo Jorge Garbajosa…) e pronti-via al primo anno arriva il primo posto in regular season, risultato straordinario, che però non può non mettere pressione su un gruppo che non era stato pensato per arrivare fin lì in così poco tempo. Il Tau supera nei primi turni di playoff Malaga e Barcellona e si presenta alla finale con Manresa da favorita, non fosse altro per il vantaggio del fattore campo. Scariolo sa però che in stagione regolare sono arrivate due sconfitte con la prossima avversaria e in gara1 di finale purtroppo arriva la terza, dopo che Santi Abad fallisce sulla sirena il libero della vittoria nei regolamentari. Vinta gara2, la serie poi però la porta a casa Manresa, che non fallisce i due appuntamenti casalinghi, grazie a un fantastico Joan “Chichi” Creus: rimane il rimpianto per essere arrivati a pochi centimetri da un traguardo incredibile, ma rimane anche la soddisfazione per una stagione che ha elevato il ranking, l’auto-consapevolezza e la considerazione del Tau Vitoria.
L’anno successivo sotto canestro arrivano Stefano Rusconi e l’olandesone Serge Zwikker, poi tagliato a favore di Anthony Bonner. L’esperienza in Eurolega è formativa ma faticosa, anche per questioni logistiche, l’accesso nelle prime 16 non riesce ma al secondo anno spagnolo per Scariolo arriva il primo trionfo, con l’ambitissima Copa del Rey vinta dopo aver superato in sequenza Badalona, Barcellona e Siviglia.
Scariolo è in rampa di lancio ancora una volta: in Spagna si sente a casa, ha velocemente familiarizzato con la lingua e vincendo ha superato lo scetticismo che lo aveva accompagnato all’inizio della sua avventura a Vitoria. A punzecchiarlo era stata in particolar modo una giornalista di Gigantes e Canal+, tale Blanca Ares, leggenda della pallacanestro femminile spagnola, che aveva da pochi mesi intrapreso la carriera di giornalista. «Ma c’era proprio bisogno di portare un coach italiano in un club che ha già così tanti stranieri in campo?» è il senso della critica di Blanca alla prima assoluta di Scariolo, a Caceres. I due hanno poi modo di chiarirsi qualche settimana più tardi, e da quel chiarimento non nasce molto di più di una solida intesa allenatore-giornalista. Nasce un amore infinito tra i due. E da quell’amore nascono anche Alessandro e Carlota.
Appena due anni in Spagna ma è già arrivata una Coppa, infiniti consensi, e l’anima gemella che gli ha cambiato la vita. Segno del destino, la Spagna sarebbe poi stata giocoforza la terra in cui scrivere tante altre pagine di storia. Questo era solo il primo, bellissimo, capitolo. E la domanda sorge spontanea: ma se Obradovic due anni prima avesse firmato per il Real? Già, il Real Madrid. A Vitoria il progetto è tutt’altro che esaurito, ma all’orizzonte si prospetta un’altra opportunità straordinaria. Un pranzo con Lorenzo Sanz Jr., che Scariolo pensa sia solo una rimpatriata con un amico, si trasforma velocemente in un colloquio di lavoro: l’offerta è quella di occupare una delle panchine più prestigiose d’Europa. C’è il Real Madrid che chiama: cosa fare? Lasciare Vitoria, che è già una perfetta comfort zone, per rimettersi nuovamente in discussione al livello più alto? Interrogativi leciti, ma che si dissolvono in pochi giorni, il tempo di parlare con Vitoria, attendere che i due club trovino l’accordo per l’uscita dal contratto (nel pacchetto che viaggia verso la capitale rientra anche il cartellino di Lucio Angulo) ed è fatta.
E’ il 1999, Sergio Scariolo è il nuovo allenatore del Real Madrid. Il lavoro non manca. La strategia che si è rivelata vincente a Vitoria viene riproposta al piano superiore: la stagione la inizia Keith Jennings ma in corsa arriva Sale Djordjevic, in uscita da Portland e precedentemente al Barcellona. L’accordo non passa inosservato, è un Luis Figo anche nella pallacanestro. Il primo anno è trionfale: nei playoff senza l’infortunato Alberto Herreros, bandiera del club, dopo essere miracolosamente usciti illesi dalla semifinale con l’Estudiantes (gara5 risolta a fil di sirena) la finale ripropone l’ennesimo Clasico. I Blancos passano in Catalogna in gara1, sprecano il match point casalingo in gara4, ma poi tornano a vincere il titolo spagnolo proprio in casa dei rivali più acerrimi, che nel frattempo hanno aggiunto al proprio roster due giovani che si riveleranno discretamente interessanti. I loro nomi? Pau Gasol e Juan Carlos Navarro.
Prima di gara5, ecco il capolavoro del coach bresciano. I primi quattro episodi della finale sono stati piuttosto ruvidi e una pallacanestro fisica certamente favorisce i blaugrana, lo staff tecnico dei Blancos intercetta una clip televisiva nella quale i giocatori del Barcellona, prima di una partita, si raccomandano di «distribuire legnate». Quella clip si trasforma nell’unico contenuto, riproposto in loop, della conferenza stampa di Scariolo che precede gara5. La polemica divampa in tutta la Spagna in poche ore, certamente ne viene condizionato in parte l’arbitraggio della sfida che assegna il titolo: il metro arbitrale è tutt’altro che permissivo, a beneficiarne è la superiore tecnica complessiva del Real. Che vince ma viene premiato negli spogliatoi e non in campo, per motivi di ordine pubblico: nel campionato spagnolo non era mai successo.
Il 2000 cambia la storia del Real Madrid: il presidente Sanz pretende pieni poteri in vista del centenario previsto per il 2002 e forte dei successi ottenuti anticipa le elezioni, che invece premiano a sorpresa Florentino Perez. Scariolo non è in discussione e anzi Jorge Valdano, nuovo direttore generale del club, chiede al coach di ricoprire anche l’incarico di responsabile della sezione pallacanestro. Aumentano le responsabilità, le questioni da affrontare e il tempo per pensare alla squadra non può più essere lo stesso: in Eurolega il ritorno al PalaDozza è piacevole a livello personale, perché l’accoglienza della Fossa è più che cordiale, ma al contempo amaro perché è proprio la Fortitudo a decretare l’eliminazione. Il Real raggiunge la finale sia in campionato che in Copa del Rey, quella che altrove verrebbe definita una stagione di alto livello a Madrid viene giudicata negativa perché a imporsi in entrambi le competizioni è il Barcellona di un Pau Gasol già dominante.
La stagione successiva la scelta di affidarsi a due centri puri come Zan Tabak e Dragan Tarlac non paga: il ko nei quarti dei playoff con l’Estudiantes è molto pesante e fa arrabbiare il pubblico madrileno, al punto che si decide di voltare pagina con decisione. Il posto occupato da Djordjevic in regia viene preso da Elmer Bennett, c’è l’opportunità di mettere sotto contratto Carlos Delfino, luminoso talento argentino in rampa di lancio, ma a fargli posto deve essere Herreros. Non uno qualunque, a Madrid. La piazza non la prende bene e Perez, chiamato a scegliere tra il coach bresciano e il giocatore, opta per quest’ultimo. Il commiato di Valdano a Scariolo è imbarazzato ma tant’è, l’esperienza madrilena si chiude così.
L’esperienza spagnola più significativa e sentita, lasciando da parte la Nazionale, è certamente quella di Malaga. Una città, anzi una regione, l’Andalusia, che conquistano il cuore del tecnico bresciano già dai primi approcci. Non a caso, poi arriva la scelta di stabilire la propria residenza a Marbella, 60 chilometri da Malaga. La telefonata che lo porta sulla panchina dell’Unicaja arriva a novembre 2003, bastano pochi minuti e l’accordo è siglato. La squadra è competitiva, la città splendida, la gente ospitale, e poi c’è la voglia di tornare a sfidare il duopolio Real Barcellona, proprio come a Vitoria. L’esordio è fissato per sabato 20 novembre contro l’Estudiantes, peccato che per quel giorno è fissato da tempo il matrimonio con Blanca… Il problema non è da poco, ma Scariolo non usa intermediari, chiama il presidente dell’Estudiantes, Alejandro Varona, che da gentiluomo concede il posticipo al giorno dopo. Un caso rarissimo: partita spostata per matrimonio.
Settimana dopo settimana, Malaga saluta la zona retrocessione e scala la classifica: è la squadra di Louis Bullock, dell’argentino Walter Herrmann e del francese Moustapha Sonko. Dalla cantera spuntano nomi che poi diventeranno centrali nel progetto, tra questi Cabezas e Berni. Malaga centra i playoff, risultato insperato solo poche settimane prima, e poi si qualifica per l’Eurolega battendo nei quarti Valencia, il cui roster elenca tra gli altri Rigaudeau, Tomasevic, Oberto e Picchio Abbio. I verdi rimontano faticosamente da 0-2 imponendosi in casa e gara5 Scariolo la vince apparecchiando a sorpresa una zona 2-3 per 40 minuti, rallentando il ritmo e finendo così per annebbiare il talento avversario. La semifinale contro il Barcellona di Bodiroga e Navarro è ingiocabile ma il 3-2 su Valencia vale l’accesso all’Eurolega. Al ritorno a Malaga, la squadra è attesa da una folla in delirio. E’ solo l’inizio della marea verde che colorerà la Spagna e l’Europa negli anni successivi.
La stagione successiva partono Bullock e Sonko, destinazione Madrid, ma insieme a Fran Vazquez e JR Bremer a Malaga atterrano Pepe Sanchez e Jorge Garbajosa. In campionato lo stop lo impone Vitoria in semifinale ma il capolavoro arriva in Copa del Rey: dopo i successi su Alicante e Valencia, in finale ad attendere Scariolo c’è il Real. Ancora tu... Malaga domina i Blancos e il sigillo lo mette la tripla di Garbajosa, per il primo titolo in assoluto nella storia del club andaluso. Malaga impazzisce di gioia, una volta di più, ma anche nel momento del trionfo la consapevolezza è che c’è da scalare un altro gradino per arrivare al titolo in campionato. Scariolo perde Fran Vazquez ma aggiunge Daniel Santiago, Stephane Risacher e Marcus Brown, vince la stagione regolare e nei playoff si sbarazza, non senza fatica, di Estudiantes e Badalona. In finale c’è Vitoria e finisce 3-0, l’Unicaja è inarrestabile e trasforma Malaga in Rio de Janeiro nei giorni del Carnevale.
Non solo cortei spontanei e passerelle trionfali in tutta la città, anche una celebrazione religiosa in cattedrale. Scariolo ha reso felice una città che ama ed è un uomo felice. Poche settimane più tardi, però, ecco le prime crepe, ad avvalorare la tesi che il ciclo perfetto per un tecnico in una società duri al massimo tre anni. La dirigenza perde colpi e giocatori, la campagna di rafforzamento latita, eppure Malaga brilla in Eurolega e si qualifica per la Final Four dopo aver eliminato il Barcellona di Basile e Marconato nei quarti: gara3 in casa la decide una tripla di Pepe Sanchez ed è ancora apoteosi. In semifinale lo stop arriva dal CSKA di Ettore Messina ma Scariolo chiude al terzo posto, imponendosi a Vitoria nella finalina. E’ il punto più alto, a livello europeo, per il club andaluso. L’ennesima bandiera piantata su un terreno fino a qualche anno prima sconosciuto.
La quinta stagione malagueña è tutt’altro che memorabile, col tempo le frizioni con la dirigenza si fanno insanabili, lo staff tecnico reclama l’ingaggio di un playmaker e invece c’è l’accordo per un’ala piccola. I tempi sono maturi per la dichiarazione di Scariolo che farà storia: «Viviamo da mesi in un appartamento senza frigorifero, ma oggi mi hanno comprato il quinto televisore». L’unica soddisfazione arriva al primo turno dei playoff, quando Malaga (ottava) elimina il Real Madrid (primo) e regala un’altra grande gioia ai diecimila del Carpena. E’ il lieto fine della storia tra l’Unicaja e Scariolo, che declina la proposta di rinnovo e si avvicina alla panchina del Barcellona, che poi però decide di confermare Xavi Pascual. Nel frattempo il coach bresciano ha accantonato l’offerta della federazione spagnola per allenare la Nazionale, non potendo contemplare il doppio incarico. Di due opportunità eccellenti, non se ne concretizza neanche una. Evidentemente, è tempo di ripartire per altri viaggi di aggiornamento in giro per il mondo. Siamo nel 2008.
LA NAZIONALE - Quando viene chiamato per la prima volta a fare il “seleccionador” della Spagna, Sergio Scariolo ha già un trascorso da commissario tecnico ed ha già vinto un titolo Mondiale Militare con gli azzurri nel 1985. Ma ovviamente allenare una Nazionale maggiore non è operazione semplice. Si tratta di selezionare alcuni giocatori e di escluderne altri, di far capire ai prescelti che il loro ruolo sarà diverso rispetto a quello dei club, di mediare tra mille pressioni, di ammorbidire le tensioni, ma al tempo stesso di tenere la barra dritta per far sentire tutte le componenti parte attiva del progetto. L’hashtag scelto da anni dalla FEB, in relazione alle attività delle due nazionali senior, è non a caso #LaFamilia. Con l’intento quasi ossessivo di mettere giocatori e staff a proprio agio, in una dimensione che appunto ricorda quella delle proprie mura domestiche.
L’Eurobasket 2009 che si gioca in Polonia è la prima competizione affrontata da Scariolo. La Spagna ha vinto il Mondiale 2006 e l’argento olimpico del 2008 ma all’Europeo le Furie Rosse hanno sempre fallito, con regolarità preoccupante. La scimmia sulla spalla rischia di trasformarsi in un orango giallorosso e le premesse non sono rassicuranti: al primo giorno di raduno Pau Gasol si infortuna alla mano ed è costretto a saltare tutta la preparazione. L’idea di Scariolo di partire in quintetto con i fratelli Gasol va immediatamente accantonata, recuperando Garbajosa da 4 atipico. La Serbia si impone all’esordio, Pau rientra ma è lontano da una forma accettabile, non c’è motivo di far drammi, anche perché storicamente la Spagna centellina le risorse per farsi trovare al 100% solo quando la competizione entra nel vivo. Il giorno dopo però il dramma si sfiora perché un kocon la Gran Bretagna equivarrebbe a un’eliminazione clamorosa e a 3 minuti dalla fine la Spagna è a -4. Rimediano Navarro e Pau Gasol, e il giorno dopo arriva un’altra vittoria non brillante con la Slovenia. L’assetto con le due torri non funziona, Scariolo ne prende atto e lo comunica senza sconti a Marc, che da quel momento tornerà a partire dalla panchina. La reazione non è entusiasta ma per la #LaFamilia questo e altro.
Nel primo impegno della seconda fase con la Turchia, Scariolo sceglie Llull per il tiro della vittoria ma un evidente fallo di Erden sulla penetrazione non viene sanzionato e la Spagna perde ancora. Marc Gasol si lamenta con la stampa dicendo che quella responsabilità sarebbe spettata al fratello, come prevedibile impazza la polemica. Le turbolenze non mancano e Scariolo vince quell’Europeo nell’esatto istante in cui il giorno successivo convoca la squadra e chiede a tutti di aprirsi per un confronto a 360 gradi. Da quel momento la Spagna non si guarda più indietro: a farne le spese sono Lituania, Polonia, Francia nei quarti, Grecia in semifinale e la Serbia in finale, grazie a un Pau Gasol stratosferico. «Ringrazio la federazione per avermi messo a disposizione una Ferrari», chiosa Scariolo. La scimmia può accomodarsi, #LaFamilia è in festa.
Il Mondiale 2010 si gioca in Turchia, Pau si prende un’estate di riposo dopo le fatiche NBA e senza di lui non è la stessa cosa anche perché Rubio non è al 100% e Calderon si fa male durante il raduno. Scariolo deve fare a meno del proprio playmaker e del proprio centro, la corsa verso una medaglia si interrompe anzitempo nei quarti di finale con la Serbia. Colpa di una magia di Milos Teodosic da nove metri. Alla fine del torneino per i piazzamenti, è sesto posto. Il giorno dopo capitan Navarro chiede la parola durante una riunione tecnica e si addossa la responsabilità dell’insuccesso, nonostante abbia giocato tutta la competizione torturato dai postumi di una fascite plantare. Un gesto inatteso e molto significativo, che ipoteca il trionfo dell’anno successivo.
Nel 2011 l’EuroBasket è ospitato dalla Lituania, che inspiegabilmente cade nei quarti con la Macedonia provocando una sorta di dramma nazionale. La Spagna è in salute, Ibaka è il naturalizzato prescelto e il torneo viene dominato proprio da Navarro: 35 i punti in semifinale con la Macedonia di McCalebb, 27 contro la Francia in una finale controllata dal primo all’ultimo possesso. La cerimonia di premiazione vive un momento toccante quando Navarro sceglie di far sollevare la coppa a Felipe Reyes, che pochi giorni prima aveva perso il padre per un malore improvviso. Un altro gesto simbolico ma che cementa un gruppo con tante personalità diverse e non sempre facili, ma che coltiva un suo equilibrio eccezionale in campo e fuori.
Una falsa partenza distingue la Spagna anche ai Giochi Olimpici di Londra 2012: sconfitte nel girone con Russia e Brasile, che vengono compensati dai successi su Australia, Cina e Gran Bretagna. Nei quarti, tanto per cambiare, l’avversaria è ancora la Francia. La partita è tesa, ruvida, equilibrata: francesi avanti più di tre quarti ma poi tenuti a digiuno per 7 minuti di fila nell’ultimo quarto. Seguiranno placcaggi poco olimpici di Turiaf e un gancio destro di Batum a Navarro, a certificare la frustrazione maturata dalla Francia nel corso degli anni. La semifinale con la Russia si mette male nel primo tempo (anche -15) ma durante l’intervallo è Pau Gasol a tranquillizzare i compagni e a spingerli verso la finale contro Team Usa. Ovvero contro LeBron James, Kobe Bryant, James Harden, Kevin Durant, Anthony Davis, tanto per citarne alcuni. Ma l’ultimo atto del torneo non si rivela un massacro come ipotizzato dai più, tutt’altro. Coach Krzyzewski chiama lo stesso numero di timeout in una partita che durante tutto il resto del torneo, a inizio ultimo quarto la Spagna è sul -1, poi ci pensano LeBron e Chris Paul a evitare una sconfitta clamorosa. E’ una medaglia storica per la Spagna del basket, solo la seconda nella sua storia olimpica (l’altra a Los Angeles ’84), e per Scariolo è la chiusura di un ciclo di triennale.
Per la successione la FEB sceglie un suo assistente, Juan Antonio Orenga, che prenderà un bronzo agli Europei 2013 in Slovenia, ma due anni dopo finirà nel fosso, nel Mondiale 2014 ospitato proprio in Spagna (sconfitta 65-52 nei quarti con la solita Francia, a Madrid). Per il coach bresciano nel giro di tre anni sarà già ora di tornare a fare il Seleccionador. Glielo chiedono tutti. Passo indietro nel tempo, per l’ultima esperienza sulla panchina di un club spagnolo. La meno entusiasmante, l’unica che si chiude senza un trofeo.
Nel 2013 il Baskonia pensa nuovamente a Scariolo, che non resiste alla tentazione di tornare a lavorare per la società che gli ha cambiato la vita quindici anni prima. La situazione, però, è completamente diversa, a cominciare dal versante economico: è l’ex coach Zan Tabak a disegnare un quadro desolante al tecnico bresciano, che prova comunque ad allestire una squadra discreta nonostante le mille difficoltà. Partono Lampe e Bjelica, più spazio a Heurtell e Pleiss: gli americani sono di seconda fascia e le uniche soddisfazioni le dà l’Eurolega, con l’accesso alla Top 16. Le condizioni per proseguire non ci sono ma alle tante telefonate di giocatori spagnoli che chiedono a Scariolo di tornare in Nazionale, segue quella della Federazione. Quella missione va ripresa e completata.
Tornare ad allenare la Spagna è un po’ come rincasare. Scariolo torna a casa, ma con eleganza e tatto, in punta di piedi, cercando di riportare un po’ di leggerezza in un gruppo segnato dalla delusione dell’anno precedente. Le premesse alla vigilia di EuroBasket 2015 non sono delle migliori: Marc Gasol dà forfait, gli infortuni di Calderon, Rubio e Navarro peggiorano la situazione. L’avvio è, come altre volte, contraddittorio: dopo i passi falsi con Serbia e Italia, lo scontro diretto con i padroni di casa della Germania vale un posto nella seconda fase, a Lille. Partita tiratissima, è l’ultima in nazionale per Nowitzki, che Scariolo cerca di anestetizzare con la marcatura di Mirotic. Gasol e compagni vacillano un paio di volte ma non vanno al tappeto, la Germania è condannata da un libero sbagliato da Schroder nel finale.
A Lille il gioco si fa duro, e per la Roja è quindi il momento di iniziare a giocare al 100%. In sequenza cadono la Polonia negli ottavi, la Grecia del ventenne Antetokounmpo nei quarti e la Francia padrona di casa in semifinale. Come sempre la sfida con i francesi, forti del supporto di 27.000 tifosi, non è banale: la Spagna rischia di sprofondare sul -9 a 5’ dalla fine, ma a risollevarla è un immenso Pau Gasol, 40 punti su 80 totali dei suoi. Batum salva la Francia allo scadere dei regolamentari con una tripla, ma poi sono due suoi errori dalla lunetta a spingere la Spagna in finale. Dove ad attenderla trova a sorpresa la Lituania, non l’incompiuta Serbia, e il 36-18 dell’intervallo sa già di sentenza. Quattro anni dopo Felipe Reyes torna sul podio per alzare il trofeo, stavolta da capitano.
Quelle di Rio 2016 sono le seconde Olimpiadi per Scariolo, ma quando si parla di cinque cerchi le emozioni sono sempre quelle della prima volta. Prima di iniziare però ci sono un paio di situazioni poco piacevoli da sbrogliare. Con la consacrazione di Rubio, per Calderon minutaggi e responsabilità si sono giocoforza contratti, prima del raduno Sergio bussa alla porta di Josè per chiarirgli che il suo spazio sarà limitato. La risposta del playmaker è quella che Scariolo sognava, ovvero totale disponibilità e condivisione del progetto tecnico. Al punto che a Rio sarà lo stesso Calderon a difendere lo staff tecnico dalle critiche dei giornalisti spagnoli che lo vogliono vedere più in campo. La seconda grana riguarda l’ultimo taglio prima della partenza per il Brasile, momento sempre doloroso per un CT, a maggior ragione alla vigilia di un’Olimpiade. Scariolo deve scegliere tra Abrines e San Emeterio e alla fine è quest’ultimo che deve restare a casa. Il commiato è memorabile, saluto alla squadra a centrocampo a fine allenamento e una richiesta ben precisa: «Riportatemi una medaglia».
Come al solito, l’approccio alla competizione è altalenante: sconfitte con Croazia e Brasile, sorrisi con Nigeria, Argentina e Lituania. Nei quarti l’ennesimo incrocio con la Francia ma stavolta non c’è batticuore, +22 a fine terzo quarto e la squadra di Scariolo è già praticamente in semifinale, dove però ci sono gli Stati Uniti. Che anche stavolta hanno deciso di fare sul serio, non mancano i fuoriclasse alla corte di Coach K (Kevin Durant, Kyrie Irving, Paul George, Klay Thompson) ma che per vincere devono soffrire, e non poco: alla fine è +6, il margine più basso
nella storia delle sfide tra le due squadre. Per il bronzo bisogna battere l’Australia e l’ultimo possesso delle Olimpiadi certifica la qualità del lavoro dello staff di Scariolo. Indietro di 1 punto ma ultimo pallone dei gialloverdi, la Spagna si compatta nell’ultimo timeout, anticipa le mosse degli avversari, nega ogni tentativo di ricezione di Patty Mills, scelto dai Boomers per il tiro finale. E’ l’ennesimo trionfo per #LaFamilia e come sempre i festeggiamenti giallorossi non hanno nulla di banale: Llull porta sul podio la maglia di San Emeterio, che quella medaglia la riceverà davvero, per una felice intuizione della FEB, che premia con regolarità anche i giocatori che hanno preso parte solo al training camp. Per Scariolo poche ore prima un’altra emozione difficile da dimenticare: a bussare alla sua porta Coach K, che vuole congratularsi per la semifinale giocata un paio di giorni prima. Un riconoscimento spontaneo, da un’eccellenza assoluta.
L’Europeo 2017 è quello della consacrazione di Luka Doncic e della sua Slovenia, pronostico che Scariolo anticipa prima della competizione dopo aver visto gli slavi in azione durante un torneo di preparazione. All’appello mancano Felipe Reyes, Fernandez, Ibaka, Mirotic e Llull e poi Abrines si fa male all’esordio contro il Montenegro. La Spagna gioca un torneo di alto livello, come da tradizione rompe le uova nel paniere ai padroni di casa (la Turchia negli ottavi) ma poi si deve arrendere alla Slovenia in semifinale. Immediata la reazione con la Russia nella finalina, e sulla Roja piove un’altra medaglia. Il metallo è meno pregiato di altre volte ma i media spagnoli applaudono l’ennesimo podio, stavolta ottenuto in circostanze avverse.
Dal 2020 l’attenzione di tutto il mondo si sposta tristemente sulla Cina ma a settembre 2019 a Pechino si consuma uno dei trionfi sportivi più importanti nella storia dello sport iberico. La Spagna vince il Mondiale, dominando l’Argentina in finale, l’MVP Ricky Rubio viene premiato da Kobe Bryant, che non lesina complimenti e felicitazioni a Sergio Scariolo. In italiano, ovviamente. L’ennesimo lieto fine della Spagna si concretizza a Pechino ma parte da lontano, lontanissimo. Cioè da quando la federazione ha deciso, dal 2017, di utilizzare per le finestre di qualificazione al Mondiale i cosiddetti “Heroes de las ventanas”, ovvero un gruppo di giocatori che NBA ed Eurolega solitamente le guardano in tv. Il loro contributo è straordinariamente utile e consente di presentarsi in Cina con un altro roster, più talentuoso ma altrettanto attaccato alla causa.
I pronostici vedono la Spagna in seconda fila, a voler essere buoni. Il primo girone è interlocutorio (Iran, Tunisia, Portorico) ma la seconda fase prevede la doppia sfida con Italia e Serbia. Con una vittoria si passa, con due si accede a un tabellone più semplice, con due sconfitte si torna a casa prematuramente. Gli azzurri sembrano padroni del campo nel primo quarto ma non capitalizzano, il piazzato di Gallinari che vale il +4 a 3 minuti dalla fine è l’ultimo acuto della squadra di Sacchetti, che nel finale cede di schianto. La Serbia fa ancora più paura ma a questo punto della competizione ci arriva una Spagna perfettamente focalizzata sull’obiettivo da centrare. Una macchina da guerra che sa perfettamente dove andare, e come arrivarci. Gasol manda fuori giri Jokic, Claver spegne Bjelica, Bogdanovic è isolato dalla box and one. Il quarto con la Polonia è poco più che una formalità e la vera finale, prima del monologo finale con l’Argentina, è probabilmente contro l’Australia. La stessa, temibilissima squadra beffata a Rio tre anni prima. Scariolo la porta a casa dopo due overtime, al termine di una battaglia epica, che cambia padrone a ogni possesso, vinta e persa una mezza dozzina di volte. Spallata decisiva di un Marc Gasol da 33 punti e 33 di valutazione. Negli spogliatoi, il commento di Sergio è destinato a passare alla storia, come la sua squadra: «Questo gioco è generoso con chi lo rispetta».
Siamo ai Giochi di Tokyo, spostati al 2021 causa Covid. E’ il canto del cigno della più straordinaria generazione di giocatori nella storia del basket spagnolo. Non arriva una medaglia, dopo tre podi olimpici consecutivi, ma una resa con l’onore delle armi, al cospetto dell’avversario più forte, ancora gli Stati Uniti di Durant, che eliminano la Roja nei quarti 95-81. E’ l’ultima volta per i fratelli Gasol, Sergio Rodriguez, Victor Claver e Sergio Llull e stavolta non bastano i 38 punti di Ricky Rubio, l’ultimo ad arrendersi a una squadra superiore per talento e profondità. La generazione d’oro del basket spagnolo saluta i Giochi ai quarti di finale, impegnando però seriamente Team USA in quella che è un po’ una finale anticipata.
Nel 2022 a Berlino la Spagna si laurea campione d’Europa per la quarta volta: da campioni del mondo in carica, ma in piena rivoluzione generazionale, i giallorossi partono da outsider ma tornano sul gradino più alto del podio grazie ai fratelli Hernangomez, al naturalizzato Lorenzo Brown, a Jaime Pradilla e all’eterno Rudy Fernandez. In finale, ancora una volta, l’eterno duello con la Francia. Che la Spagna decide di vincere a modo suo: forse meno talento complessivo, ma un sistema di gioco decisamente riconoscibile e al tempo stesso flessibile, varianti tattiche e libertà individuale di esprimere la propria creatività. Cambiano gli interpreti ma non cambia lo spirito della Roja. E soprattutto non cambiano i risultati.
Val la pena fare un po’ di conti. Nel 2022 la Spagna va a medaglia agli Europei per la settima volta consecutiva, e per la decima nelle ultime undici edizioni. Cinque di queste medaglie portano la firma di Sergio Scariolo: quattro sono d’oro, una di bronzo. A queste vanno aggiunte il titolo mondiale del 2019 e due medaglie olimpiche, d’argento nel 2012 e di Bronzo nel 2016. Per Scariolo sono otto medaglie complessive nelle competizioni maggiori, cioè Europei-Mondiali-Olimpiadi, in dieci partecipazioni, nell’arco di tredici anni. Per una squadra che si chiama Spagna, ma nel pantheon del basket globale ce l’ha portata un allenatore bresciano.
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Giganti # 11 (maggio 2023) | Pagina 54-68