Senza passato non c’è futuro

Senza passato non c’è futuro

I giovani di oggi considerano qualsiasi trascorso totalmente irrilevante, ma senza memoria storica vengono meno anche i riferimenti

Una delle cose che più mi infuriano navigando qua e là per la rete e leggendo quanto si scrive nei vari forum di basket è la totale, abissale, sconvolgente ignoranza che hanno le nuove generazioni di quanto è accaduto nel mondo del basket neanche tanto tempo fa.

Non riesco mai a capire come mai i giovani di oggidì siano convinti che tutto quello che successe una volta sia totalmente irrilevante rispetto a quanto succede oggi se non sospettando che la propaganda a senso unico che arriva dalle trombe, trombette e tromboni che magnificano tutto quanto succede al di là dell’Oceano, dove, come già detto, oggigiorno non ha importanza di come giochi, ma quanto corri e salti, abbia ormai irrimediabilmente attecchito nel subconscio dei giovani tifosi, convinti che, visto che oggigiorno il basket viene giocato (?) da marcantoni rubati all’atletica leggera, sia irrimediabilmente l’unico basket che sia meritevole di essere seguito, essendo nella loro convinzione uno sport parente stretto dell’atletica leggera nel quale la palla è un accessorio e poco altro da scaraventare nel canestro avversario, per cui i “debolucci” giocatori di una volta, per riferimenti chiedere a Erving, Chamberlain o Dawkins, vista la loro inferiorità (?) fisica, avevano da praticare uno sport patetico che nulla aveva a che fare con quello odierno. In un contesto del genere va da sé che la memoria storica del nostro gioco sia totalmente negletta. A differenza di tutti gli altri sport, basti ricordare con un misto di rispetto e invidia i vari musei di cimeli storici negli stadi di calcio di proprietà del club che vengono visitati da migliaia di appassionati che sfilano in religioso raccoglimento, nel basket il culto dei cimeli storici è assente.

E’ per me sconvolgente il fatto che l’unica collezione di cimeli in Italia, almeno per quanto ne so, parlo di raccolte assemblate con cura, raziocinio e ordine e soprattutto che vengono continuamente arricchite con criterio, sia quella dell’amico Cecere in Friuli. Da parte delle autorità costituite, per non parlare dei singoli club, non mi risulta che ci sia nulla del genere e che soprattutto a nessuno venga neppure in mente l’idea che una cosa del genere possa addirittura essere più che messa in opera, addirittura pensata.

Eppure per un vero amante dello sport un museo di cimeli è un vero tuffo nel passato che non avviene per filmati o fotografie, ma vedendo e potendo magari furtivamente toccare oggetti veri, reali, concreti, che una volta erano maneggiati o indossati da campioni storici che negli altri sport sono vere e proprie icone con ciò rivivendo idealmente l’epoca nella quale il campione del passato operava, le condizioni del gioco ai suoi tempi, normalmente molto più poveri e eroici, che in ogni sportivo che possa definirsi tale non fa altro che aumentare l’ammirazione e il rispetto per gente che giocava in condizioni tanto difficili.

Pensare che questa gente doveva giocare magari sui campi all’aperto, o, in tempi più moderni, in palestre con parquet che erano quello che erano, un insieme di tessere sconnesse, con palloni che pesavano un quintale, magari con i lacci a chiudere il rivestimento di cuoio sulla camera d’aria interna, di forma vagamente sferica che a palleggiarli bisognava essere virtuosi a livello di prestigiatori, fa veramente venire i brividi. Per non parlare delle magliette e delle tute che agli indossatori top models moderni (avete presenti le elaborate acconciature che imperversano oggigiorno?) farebbero venire estesi eczemi e irritazioni cutanee.

Certo, per provare ineffabili sensazioni del genere bisognerebbe essere consci e intimamente convinti dell’unica cosa che manca nel basket moderno, e che cioè il gioco è sì in inevitabile mutazione, dire sviluppo indica un sottinteso di progresso che mi rifiuto categoricamente di avallare, che le cose cambiano velocemente, ma che in nessun caso esiste l’equazione che cambiamento significhi progresso. Il mondo, in qualsiasi campo, è da sempre andato a cicli all’interno dei quali cambiano solamente le condizioni tecnologiche, ma che, come in certi periodi storici si va avanti, in altri si va inevitabilmente indietro. Ora che io sia perfettamente convinto che in questo preciso momento storico a livello di basket siamo in una vertiginosa china discendente è una mia opinione perfettamente confutabile (non so come, a dire il vero, ma di solito si dice così), ma non è questo il punto.

Il punto è che senza memoria storica non si hanno riferimenti, non si sa nulla di come si faceva una volta, e non sapendo nulla di come si facesse una volta, non si sa cosa di buono facessero allora, per cui ogni cosa, anche la più banale e stupida che una volta era data per scontata, quando viene riscoperta oggigiorno (come il banalissimo e pedestre arresto e tiro) viene venduta come una straordinaria scoperta, mentre invece è solo e semplicemente la re-invenzione dell’acqua calda. E di esempi del genere potrei enumerarne una quantità enorme, cominciando magari dal gancio che oggigiorno viene presentato con una risata dai commentatori come un tiro antidiluviano. Ma visto che, se fatto bene, non è stoppabile e vale comunque due punti (chiedere per informazioni a un tale Jabbar), perché di grazia non farlo con più continuità? Ecco, magari visitando un museo di cimeli, qualche ridanciano telecronista potrebbe cambiare idea. E già questa sarebbe una bella cosa. Se poi capisse anche che, senza il passato il presente non sarebbe quello che è, e che senza passato non c’è neanche futuro, sarebbe ancora molto, molto meglio. 

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Giganti # 6 (ottobre 2018) | Pagina 78-79

Sergio Tavcar

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