Istanbul 2017, XL edizione
All’insegna del “niente è più definitivo del provvisorio”, anche l’edizione numero 40 dell’Eurobasket maschile si distese sull’intero continente, annullando paternità e confini. Istanbul fu solo una delle quattro sedi sparse in tutta Europa. Ma fu la principale e quella più ricca di tradizione e di fascino. Vi si disputò un girone di qualificazione (all’Abdi Ipekci Arena) e tutta la fase finale a eliminazione diretta (nel sontuoso Sinan Erdem Dome da 16.000 posti), impianti che avevano già ospitato i Mondiali del 2010. Per gli altri tre gironi – stessa formula del 2015 – si fecero avanti la Finlandia (con la sua capitale Helsinki), la Romania (con Cluj-Napoca) e Israele (con Tel Aviv); per queste ultime due nazioni si trattava di un debutto assoluto dal punto di vista organizzativo, e forse anche di una opportunità che altrimenti non avrebbero potuto sfruttare.
La Nazionale italiana si era assicurata la partecipazione grazie al buon quinto posto ottenuto agli Europei precedenti. Traguardo che aveva offerto anche una chance di tornare finalmente a disputare una Olimpiade (Rio de Janeiro), occasione poi sfumata a Torino, nel luglio del 2016, in una partita contro la Croazia. A quell’epoca era già avvenuto l’ennesimo cambio sulla panchina: al posto di Simone Pianigiani (tre Europei e una risalita dall’anonimato), il presidente della FIP Gianni Petrucci si era affidato a un cavallo di ritorno, Ettore Messina, che da parte sua ne aveva disputati altrettanti di Europei con la Nazionale (tra il ’93 e il ’97) congedandosi con una medaglia d’argento.
Il bagaglio stracolmo di esperienza e di successi all’estero col quale Messina rientrava in casa Italia diede nuovo vigore alle ambizioni della squadra azzurra, che da un po’ di tempo tutti consideravano ricca di talento, ma senza un proporzionale riscontro sul piano dei risultati. Speranze ed entusiasmo lievitarono lungo la fase di preparazione a questo Europeo, fino a essere di colpo ridimensionate da un pugno, quello che proprio uno dei talenti più attesi, Danilo Gallinari (appena approdato ai Los Angeles Clippers da Denver), rifilò in una amichevole all’irritante olandese Kok; gesto di reazione assolutamente istintivo (di cui il sempre correttissimo Danilo si pentì un istante dopo), che lo mise fuori gioco a causa della frattura alla mano.
Fuori Gallinari (oltre a Bargnani e a Gentile, reduci da una sventurata stagione) la Nazionale di Messina aveva tuttavia carte in regola per competere. Proveniente dalla NBA era rimasto il solo Belinelli; capitan Datome aveva vinto l’Eurolega col Fenerbahçe di Istanbul (dove erano pronti ad accoglierlo come un idolo); confermati Hackett, Cinciarini, Aradori, Melli e Cusin; i nuovi rispondevano ai nomi di Ariel Filloy (play argentino naturalizzato, 14 anni di campionato italiano), le ali/pivot Paul Biligha (nato a Perugia da genitori camerunensi) e Christian Burns (statunitense con cittadinanza italiana), l’ala piccola Awudu Abass (con ascendenze ghanesi-nigeriane), il centro Filippo Baldi Rossi.
Toccò il girone di Tel Aviv, e subito l’esordio insidioso con i padroni di casa: via la paura, vittoria di 21, Belinelli e Datome da par loro, più i rimbalzi di Melli e le belle iniziative del debuttante Filloy. Alla seconda, sotto anche l’Ucraina: +12, Belinelli a quota 26, stavolta si fece sentire anche Aradori. Si poteva anche cominciare a sognare, se sulla strada non ci fosse stata la bestia nera Lituania: ci aveva già eliminato ai quarti negli ultimi due Europei, ci sconfisse ancora una volta (78 a 73) con i soliti Valančiūnas, Kalnietis e compagnia bella, nonostante i 24 di Datome. Ci poteva stare, ma il morale ne risentì ugualmente, e contro la Germania del fuoriclasse Dennis Schroder, play tuttofare degli Atlanta Hawks, non si andò oltre un passivo da piccoli numeri: 55 a 61. Per cui l’ultimo incontro, con la Georgia dei giganti Pachulia (Warriors) Shengelia e Shermadini (quest’ultimo noto a Cantù) diventava uno spareggio da dento o fuori; Italia tranquillamente avanti per tre quarti di partita (con i canestri di Belinelli, i rimbalzi di Aradori e gli assist di Filloy), poi il ritorno dell’avversario che stava per crearci un dispiacere, ma alla fine bastarono due soli punti di vantaggio. L’aereo per Istanbul era là che aspettava.
Gli ottavi proponevano la Finlandia, che aveva sorpreso tutti battendo Francia e Grecia, ma ci volle poco a rompere l’incantesimo scandinavo: 70 a 57, ed eccoci ai quarti. A renderci invalicabile questa barriera, stavolta, ci pensò la Serbia, argento olimpico a Rio, guidata in panchina dalla nostra vecchia conoscenza Saša Đorđević. Loro superiori, grazie ai rimbalzi innanzitutto (44 a 19, ben 17 offensivi), e alle giocate della guardia Bogdan Bogdanović, anche lui idolo di Istanbul per avere vestito la maglia del Fenerbahçe, ma già atteso in USA dai Sacramento Kings. Alla fine un passivo di 16 (67 a 83) e ancora una volta strada sbarrata per le semifinali. Ettore Messina si congedava nuovamente, tra strette di mano e qualche rammarico. Con Meo Sacchetti il passaggio di consegne era già stato ratificato.
Fu l’Europeo delle tante sorprese e delle poche conferme. Tra queste ultime la Spagna dei fratelli Gasol, sempre a medaglia nelle ultime sei edizioni; coach Sergio Scariolo, stavolta, dovette accontentarsi del bronzo, dopo i tre ori delle passate edizioni. Sorprendente la Russia (ventunesima e diciassettesima nelle ultime due edizioni), trascinata dai canestri della guardia Aleksej Šved (miglior realizzatore del torneo); tornava a giocarsi una finale per il bronzo, dove arbitrava l’italiano Manuel Mazzoni, e rese la vita difficile proprio agli spagnoli. Ma la vera sorpresa fu la giovane, emergente Slovenia, che arrivò alla finalissima abbattendo tutte le avversarie sul proprio cammino, Francia e Spagna comprese.
Scena da primattori per l’esperto play di Miami, Goran Dragić (alla fine eletto MVP) e per la diciottenne ala Luka Dončić (inserito nel miglior quintetto); dovette inchinarsi anche la Serbia di Bogdanović in quella finale, sotto i colpi soprattutto di Dragić, che ne mise a segno 35 (anche miglior rimbalzista e miglior assistman della sua squadra). Risultato finale 93 a 85 per la Slovenia, che si aggiudicava così non solo il primo oro, ma anche in assoluto la prima medaglia della sua breve storia cestistica.
Restò un nostro simbolo tricolore nel resoconto di questa finale: quello di uno dei tre arbitri, Tolga Şahin, turco di nascita e di professione, divenuto italiano dopo il matrimonio con la messinese Cristina Correnti, ex cestista azzurra, attuale presidente della FIP Sicilia. Per Şahin un’emozione particolare, proprio tra le mura di casa del Sinan Erdem Dome.
PIAZZAMENTO DELL'ITALIA 7° POSTO
IL ROSTER: Daniel Hackett, Marco Belinelli, Pietro Aradori, Ariel Filloy, Paul Biligha, Nicolò Melli, Marco Cusin, Andrea Cinciarini, Awudu Abass, Filippo Baldi Rossi, Christian Burns, Gigi Datome, All. Ettore Messina
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Giganti # 10 (agosto 2022) | Pagina 76