Katowice 2009, XXXVI edizione

Katowice 2009, XXXVI edizione

Un Europeo che fece subito parlare dell’Italia. Per il semplice fatto che… non c’era. Mai accaduto! Anzi, a dire il vero il forfeit si era già verificato in due circostanze, ma erano così lontane – e cosi particolari – da ritenere che questo del 2009 fosse un evento inedito. La prima volta non poteva proprio far testo. Era l’edizione “africana” organizzata (e vinta) dall’Egitto nel ’49; la recente disgrazia di Superga aveva scioccato lo sport italiano, e si decise così di non partire e di non prendere parte a un Europeo che poi di europeo ebbe poco o nulla. La seconda volta avvenne nel ’61, a Belgrado. Erano trascorsi poco più di sei mesi dalle Olimpiadi di Roma; la Nazionale di Paratore doveva ancora smaltire la sbornia di un sorprendente quarto posto (e della prima vera esplosione di passione cestistica nazionale), mentre il CONI non aveva fatto in tempo a recuperare una sola lira nelle sue casse. 

Rinunce, dunque, quelle del passato. Stavolta no, si trattava di eliminazione! Alle prese con una crisi di identità e di rinnovamento, che ormai si trascinava da cinque anni (dall’indomani del clamoroso argento olimpico di Atene), la squadra di coach Recalcati si ritrovò imbrigliata già nella fase di pre-qualificazione, costretta alla fine a dover contendere alla Francia l’ultimo biglietto utile: ci voleva un’impresa, che non arrivò. L’Italia scivolava addirittura al ventesimo posto del ranking europeo. La delusione tolse ogni freno alle critiche e alle polemiche. Si parlò di involuzione tecnica, di scarso impegno, di disaffezione alla maglia azzurra.

Dal campionato si faceva sempre più fatica a reclutare giovani già in grado di competere a livello internazionale; dagli “americani” NBA (che peraltro erano diventati tre, Bargnani, Belinelli e Gallinari) non arrivava quel contributo di qualità e di intraprendenza che tutti si aspettavano. Quanto a Recalcati, si ebbe netta la sensazione che il suo rapporto con la Nazionale fosse ormai arrivato alla fine di un ciclo. A Dino Meneghin, allora presidente della FIP, non restava che mettersi alla ricerca di un nome nuovo per la panchina. 

In Polonia l’Europeo tornava dopo quasi mezzo secolo. Allora, nel ’63, era stata la sola città di Wrocław a ospitare il torneo, e la squadra di casa aveva ottenuto, con un argento alle spalle dell’URSS, il miglior risultato di sempre (poi avvalorato da due successivi bronzi). Stavolta, ben sette le città coinvolte (Wrocław, Varsavia, Poznan, Danzica, Lodz, Bydgoszcz, Katowice, quest’ultima sede della fase finale), e zero possibilità di medaglia per la Nazionale polacca, reduce da un tredicesimo posto nell’ultima edizione e da quattro mancate partecipazioni in quelle precedenti. Come dire che i tempi cambiavano: per tutti, e in tutti i sensi. La FIBA confermava la formula introdotta due anni prima in Spagna, che a quanto pare aveva funzionato. Quattro gironi da quattro, le prime tre a formare due gironi da sei, da cui poi eleggere le otto finaliste per i quarti. Cammin facendo, si poteva anche accusare qualche colpo a vuoto; ci sarebbe stata più di una possibilità per recuperare. Del resto, l’epoca in cui una squadra era in grado di dominare dall’inizio alla fine era ormai passata da un pezzo. Se mai, si trattava di indovinare il momento giusto per non sbagliare più, e andare così fino in fondo.

Fu proprio quello che capitò alla Spagna, approdata finalmente a quella tanto sospirata medaglia d’oro europea, che le era sfuggita di mano in ben sei occasioni, l’ultima delle quali – due anni prima a Madrid – gridava ancora vendetta. Ci fu una sconfitta nel girone di qualificazione di Varsavia (di 9 con la Serbia, nella prima partita) e un’altra all’inizio della seconda fase (di 3 con la Turchia, poi giunta ottava); ma bastò non abbattersi moralmente, e entrare col piede giusto nella fase finale a eliminazione diretta. Qui la Nazionale iberica travolse ogni ostacolo: 20 punti alla Francia nei quarti, 18 alla Grecia in semifinale, 22 alla Serbia nella finalissima, restituendo con gli interessi lo smacco iniziale. Devastante; in attacco, ma soprattutto in difesa, dove non concesse più di 64 punti di media ai tre avversari.

Incontenibile, più degli altri, risultò Pau Gasol, sempre più all’altezza della prestigiosa maglia dei Los Angeles Lakers indossata nel campionato NBA. Per la quarta volta inserito nel quintetto ideale della competizione europea, e per la seconda volta miglior realizzatore, si prese anche il titolo di MVP. Attorno a lui, grandi prestazioni da parte degli altri due NBA (il fratello Marc e l’ala piccola di Portland, Rudy Fernandez), oltre ai soliti Navarro, Reyes, Garbajosa; e intanto, si affacciavano alla ribalta il play Rubio e la guardia Llull. Tra tante conferme, la novità più importante in casa spagnola (e, fino a prova contraria, vincente!) fu quella della panchina, affidata da pochi mesi all’italiano Sergio Scariolo. Tecnico bresciano, nato nel minibasket, vincitore di uno scudetto con Pesaro a soli 29 anni; a 36 era già diventato un prodotto di esportazione, entrando da protagonista nel campionato spagnolo. L’orgoglio di vedere un italiano con l’oro al collo fu pari al rammarico di non averlo dalla nostra parte. Sentimenti che Scariolo ci avrebbe fatto riprovare ancora…

La Serbia vinse la sua prima medaglia da quando si era staccata dal Montenegro, tornando in auge dopo tre deludenti edizioni, e mettendo in mostra il talento del play Milos Teodosić, in forza all’Olympiacos di Atene. Che il campionato ellenico fosse ad alto livello lo dimostrò anche il bronzo conquistato dalla Grecia, squadra sempre molto solida, stavolta con un’arma in più, il tiro della guardia Vasilis Spanoulīs. Sfortunata, a dir poco, la Slovenia, che pure otteneva, con il quarto posto, la sua migliore prestazione. Trascinata dall’ala Erazem Lorbek (già protagonista anche nel campionato italiano), la squadra slava perdeva di un solo punto la finale per il bronzo con la Grecia, dopo aver ceduto al supplementare nella semifinale con la Serbia. A guidarla dalla panchina c’era Jure Sdovc, che nell’Europeo del ’91 a Roma militava nelle file della Jugoslavia, e proprio nel corso di quel torneo ebbe l’ordine dell’appena nata Repubblica di Slovenia di ritirarsi (pena l’accusa di nemico della patria), vedendosi così negata la medaglia d’oro conquistata dai compagni. 

Aveva di che recriminare anche la Francia, alla fine. Quinto posto, dopo avere perso una sola partita su nove; ma si trattava della sfida ai quarti con la Spagna. Proprio vero che bisognava vincere le partite giuste, al momento giusto!

Terzo forfeit della Nazionale italiana nella storia degli Europei maschili. Dopo le due lontane rinunce, stavolta si è trattato di una mancata qualificazione. A vincere l’oro, però, sarà anche un italiano…

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Giganti # 10 (agosto 2022) | Pagina 70

Nunzio Spina

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