Belgrado 2005, XXXIV edizione
Da un Europeo all’altro, clima e scenario erano completamente cambiati attorno agli azzurri del basket. Da una Nazionale in cerca di riscatto a una addirittura esaltata da successi insperati, il passo era stato breve, quasi non si era fatto in tempo ad ambientarsi. Potenza (o maledizione, qualcuno avrebbe imprecato!) di due medaglie: dopo la prima, di bronzo, acciuffata nel precedente torneo continentale in Svezia, era giunta – ancora più inattesa – quella di argento alle Olimpiadi di Atene. Prodezze di cui gloriarsi, da una parte; aspettative ingigantite, dall’altra. A non farsi illusioni era stato, forse più di tutti, lo stesso Carlo Recalcati, il coach che aveva saputo rendere vincente una squadra “operaia” – come da più parti venne etichettata –, priva di stelle e di fronzoli, ben dotata di guerrieri e di coraggio. Si ebbe l’impressione che i risultati erano stati al di sopra del reale valore; e che per restare su certe posizioni c’era comunque bisogno di un rinnovamento, soprattutto di avere a disposizione giocatori che sul piano fisico e su quello tecnico potessero competere con i fuoriclasse NBA, la cui presenza si faceva sempre più nutrita (e sempre più determinante) nelle rappresentative europee.
Tra l’orgoglio dei risultati ottenuti e il timore di non poterli riconfermare, la Nazionale azzurra si gettò nella mischia della edizione numero 34 dell’Europeo. Belgrado ospitava per la terza volta la fase finale, il che gli permetteva di raggiungere un primato solitario. Le prime due volte si era presentata col volto – ben più austero – di capitale della Jugoslavia (Repubblica Socialista Federale). Ed era stato un successo per la Nazionale di casa; perché nel ’61 aveva inaugurato le sue salite sul podio, cominciando a stuzzicare con la medaglia d’argento l’imbattibile corazzata URSS; mentre nel ’75 aveva bissato il primo oro conquistato due anni prima a Barcellona, regalando stavolta al proprio pubblico la soddisfazione di battere i sovietici anche nello scontro diretto.
Belgrado, ora, tornava sulla scena come capitale (soltanto) della Confederazione di Serbia e Montenegro, ma la sua voglia di essere al centro del basket europeo, e di portare fortuna ai propri colori, non si era affatto ridimensionata. In effetti scrisse un’altra pagina storica, la città danubiana, ma stavolta non avrebbe avuto alcun motivo di andarne orgogliosa. Fu infatti l’Europeo in cui si spensero completamente le luci dell’Est, dato che per la prima volta nessuna delle sue rappresentanti si ritrovò in zona medaglia. E a dare uno dei contributi più negativi a questo record fu proprio la Serbia-Montenegro, che da quando aveva abbandonato la denominazione “Jugoslavia” non riusciva a emergere, in questo caso addirittura cacciata via dall’élite delle prime otto.
Grecia, Germania, Francia, Spagna: furono loro, alla fine, le protagoniste! La Grecia, sorprendendo più delle altre, tornava a conquistare l’oro dopo quello che aveva fatto esplodere di gioia il pubblico di Atene nell’87. Un’impresa ancora più grande, questa, se si tiene conto che nella squadra allenata da Giannakīs (uno dei protagonisti dell’87) non militava nessun giocatore NBA. La vera forza della squadra, come allora era stato per Galīs, veniva dai “piccoli”: i play Zīsīs e Diamantidīs, la guardia Papaloukas (questi ultimi due, eletti nel miglior quintetto del torneo) si rivelarono i nuovi eroi. Sconfitta dalla Slovenia in qualificazione, la Grecia aveva poi superato la Russia ai quarti e la Francia in semifinale (di un punto), prima di approdare in finale con la Germania e batterla nettamente (78 a 62); presenza arbitrale italiana, ancora una volta con Luigi Lamonica.
A nulla, in quel caso, valsero le prodezze del centro tedesco Dirk Nowitski, stella dei Dallas, che tuttavia portò a casa, in un colpo solo, il titolo di MVP e di miglior realizzatore. Anche per la Germania, comunque, si poteva parlare di un risultato clamoroso: era il primo argento, dopo l’oro del ’93 in casa. E in squadra, guarda caso, c’era Marko Pešić, serbo naturalizzato tedesco, figlio di Vetislav Pešić, l’allenatore che si era reso artefice di quella scalata sul gradino più alto del podio.
Storica, per certi versi, anche la medaglia di bronzo della Francia: l’ultima se le era aggiudicata quasi mezzo secolo prima, nel ’59, quando a Istanbul si giocava ancora all’aperto. Facendo affidamento su una terna NBA di valore (i play Antoine Rigaudeau e Tony Parker, l’ala Boris Diaw), la squadra transalpina avrebbe potuto andare anche oltre, se nella semifinale con la Grecia non avesse sprecato un vantaggio di sette punti a 47”dalla sirena. Nella finale per il terzo posto, trenta i punti di scarto alla Spagna, che pure aveva avuto da recriminare per l’esito della semifinale, persa di uno con la Germania.
Al torneo era assente Pau Gasol tra gli iberici (e si notò); in evidenza la guardia Juan Carlos Navarro. Per i campioni in carica della Lituania solo la consolazione di una vittoria nella finale per il quinto posto contro la Slovenia; Croazia e Russia a contendersi la settima piazza, e a riflettere su come uscire da una crisi che si allungava di anno in anno. Che proprio l’Italia, prima “europea” ai recenti Giochi, come detto, restasse esclusa da questa sorta di “festival dell’Occidente” fu una nota che stonò alquanto.
Recalcati aveva a disposizione, per due terzi, la formazione che aveva così bene figurato in Svezia e ad Atene, confermando Basile, Galanda, Soragna, Marconato, Righetti, Chiacig, Bulleri. Esordio “europeo” per il play Gian Marco Pozzecco, un concentrato di estro e fantasia, che già Tanjević aveva lanciato ai Mondiali del ’98, e che era rientrato in azzurro giusto in tempo per mettersi al collo l’argento olimpico e in testa la corona d’ulivo. Debutto assoluto, invece, per gli esterni abruzzesi Stefano Mancinelli e Marco Mordente, per il centro di Reggio Emilia Angelo Gigli (tutti e tre destinati a una lunga militanza in azzurro), per l’oriundo Dante Calabria.
Nel girone eliminatorio di Vrŝac le cose non erano andate affatto male: due vittorie su tre, e una di queste (dopo un tempo supplementare) contro la Germania di Nowitski che sarebbe poi arrivata all’argento. Netta l’affermazione sull’Ucraina (+37), così come la sconfitta con la Russia (-26). Formula spietata, stavolta. Tre squadre a pari punti, ma Italia terza per differenza canestri. Bisognava giocarsi tutto nello spareggio con la seconda del girone di Podgorica, la Croazia: 74 a 66 per loro, fuori dai primi otto, il cammino azzurro si fermava là dove si era già arenato quattro anni prima, a Istanbul. Solo che nessuno avrebbe mai immaginato che, da quel momento, si sarebbe iniziato un lungo e inarrestabile declino!
PIAZZAMENTO DELL'ITALIA 9° POSTO
IL ROSTER: Dante Calabria, Gianluca Basile, Giacomo Galanda, Matteo Soragna, Denis Marconato, Gianmarco Pozzecco, Alex Righetti, Stefano Mancinelli, Massimo Bulleri, Marco Mordente, Roberto Chiacig, Angelo Gigli, All. Carlo Recalcati
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Giganti # 10 (agosto 2022) | Pagina 66