Istanbul 2001, XXXII edizione

Istanbul 2001, XXXII edizione

Secolo nuovo, vita nuova! Il primo Europeo del terzo millennio portò con sé un bagaglio carico di cambiamenti. Quello che subito saltava agli occhi era di natura, diciamo cosi, stagionale: si tornava a giocare a fine estate, cosa che non avveniva più dagli anni settanta, periodo poi confermato in tutte le edizioni successive. Entravano inoltre in vigore alcune nuove regole di gioco: quattro tempi da 10’ (e non più due da 20’); solo 8” per attraversare la meta campo e 24” per concludere l’azione d’attacco. E poi ci fu un’altra piccola, ma influente, modifica alla formula: sempre quattro gironi e qualificazione per le prime tre, solo che la prima sarebbe andata direttamente ai quarti, mentre seconde e terze dovevano incrociarsi in uno spareggio “dentro o fuori”. Tra coloro che maledissero questa variante si sentì qualcuno imprecare in colorito linguaggio italiano! 

In Turchia la manifestazione era già stata una volta in passato. Anno 1959, si giocava ancora in uno stadio all’aperto, l’URSS non aveva avversari, la partecipazione era stata allargata a 17 squadre per far posto anche all’asiatica Iran; da quelle parti il basket era ancora allo stato embrionale, e infatti la Nazionale di casa non andò oltre il dodicesimo posto. Ma si trattava, appunto, di un altro millennio! Questo che ora andava in scena era un Europeo con grandi impianti al coperto (come l’Abdi Ipekci Arena di Istanbul), con molte formazioni in grado di competere per le medaglie (in un continente che, a livello cestistico, non aveva più un Est e un Ovest), con tante stelle NBA a confermare che il processo di globalizzazione mondiale si era ormai realizzato. 

E stavolta la Turchia voleva godersela in pieno la festa che organizzava in casa, dal momento che anch’essa aveva innalzato il livello del suo basket (specie con l’Efes Pilsen, vincitrice della Coppa Korać nel ’96) e della sua Nazionale, dove gli esterni Turkoğlu e Turkcan – cognomi di indubbie origini – avevano già assaporato l’esperienza del campionato professionistico americano. Al grido di incitamento “12 Dev Adams” (“dodici giganti”, come vengono soprannominati i giocatori della Nazionale in maglia bianco-rossa), il pubblico di casa era pronto a sfruttare l’occasione propizia per un risultato storico. 

Entusiasmo e ambizioni si erano infiltrati anche nel clan azzurro, alla vigilia. Diciotto amichevoli vinte su diciannove nel cammino verso Antalya, città di uno dei due gironi di qualificazione (l’altro ad Ankara), avevano inevitabilmente procurato un certo ottimismo. Eravamo pur sempre campioni europei in carica, e il quinto posto alle Olimpiadi di Sydney 2000 (palcoscenico dal quale mancavamo da sedici anni) aveva quasi lasciato un po’ di rabbia in corpo per aver mancato un risultato più prestigioso.

Tanjević riproponeva ben otto elementi della squadra che aveva trionfato a Parigi e che si era ben comportata a Sydney, quindi un gruppo solido e di sicuro affidamento: Basile, Meneghin, Fučka, Chiacig, Mian, Galanda, De Pol, Marconato. C’erano però da registrare due importanti rinunce in extremis: Carlton Myers e Alessandro Abbio, entrambi stressati dalle fatiche della finale scudetto tutta bolognese, che aveva alla fine visto prevalere la squadra del secondo, la Virtus, su quella del primo, la Fortitudo. Quattro i nuovi: Nikola Radulović, ala grande di origine croata, ovviamente naturalizzato (il che ormai non faceva più notizia), il veloce play triestino Andrea Pecile, l’ala piccola riminese Alex Righetti, il lungo Andrea Camata. Sulla carta, una formazione che poteva ancora puntare in alto. 

La disillusione cominciò subito a farsi sentire. Nella partita di esordio con la Grecia gli azzurri si fecero sorprendere da una bomba da tre dall’angolo all’ultimo secondo, dopo avere sprecato tanto. Pronto il riscatto contro la Bosnia-Erzegovina (con un netto +30) e poi contro la Russia, che battevamo per la quarta volta di fila negli altrettanti ultimi Europei, nonostante nelle sue file cominciasse a emergere il talento di Andrej Kirilenko, ala di 2 e 09 con biglietto pronto per gli USA. Fu una beffa, però. Bisognava vincere di 14 (e non di 6) per scavalcare la Russia al primo posto; e così ci toccò fare i conti con lo spareggio imposto dalla nuova formula. Una maledizione, come detto! La terza dell’altro girone di Antalya era la Croazia, senza più grandi nomi, ma con un esperto Veliko Mršić, che procurò davvero un dispiacere ai suoi vecchi compagni Meneghin, Galanda e De Pol, dopo avere condiviso con loro lo scudetto del ’99 a Varese. La coraggiosa prova dei “deb” Pecile e Righetti non bastò a evitare la sconfitta: 65 a 57. Finì là l’Europeo dell’Italia, fuori dai primi otto; e finì la anche l’avventura azzurra di Tanjević, dopo soli quattro anni. Nel suo futuro tante altre panchine, compresa quella di altre due Nazionali europee: Turchia e Montenegro. 

A proposito di Turchia. Se la godette proprio la festa, riuscendo nell’impresa di vincere una medaglia (la sua prima nella storia), dopo avere ottenuto l’accesso diretto ai quarti con la vittoria sulla Spagna, e avere superato di misura prima la Croazia e poi la Germania dell’asso Dirk Nowitzki (miglior realizzatore del torneo). Il pubblico di casa, in quei convulsi finali di partita, gliela diede una mano ai suoi beniamini; e come se gliela diede! Combatté anche nella finale per l’oro, la Turchia, ma la Jugoslavia serbo-montenegrina (con Bodiroga, Obradović e Stojaković quest’ultimo MVP) era in grado di annullare anche il fattore campo. L’allenatore era quel Pešić che, esiliato in Germania, aveva addirittura portato la Nazionale tedesca al sorprendente successo nell’Europeo di Monaco di Baviera del ’93. Un profeta che tornava in patria da autentico trionfatore, e che entrava nella storia come l’unico allenatore ad aver vinto due titoli con due Nazionali diverse. 

Una bella conferma della sua crescita la dava la Spagna, vittoriosa sulla Germania nella finale per il bronzo. Un gigante catalano di  21 anni, 2 e 13 di altezza, si fece notare al suo debutto per la naturalezza con la quale conquistava i rimbalzi e tirava a canestro: si chiamava Pau Gasol, prese l’aereo diretto per gli States...

PIAZZAMENTO DELL'ITALIA 11° POSTO

IL ROSTER: Nikola Radulović, Gianluca Basile, Giacomo Galanda, Gregor Fučka, Denis Marconato, Sandro De Pol, Andrea Pecile, Andrea Meneghin, Alex Righetti, Michele Mian, Roberto Chiacig, Andrea Camata, All. Bogdan Tanjević

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Giganti # 10 (agosto 2022) | Pagina 62

Nunzio Spina

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