Mosca 1965, XIV edizione
Prima o poi sarebbe stata la competizione olimpica – per la quale tutto si faceva e sulla quale tutto si puntava – a condizionare la partecipazione degli azzurri agli Europei. Dopo il sorprendente quarto posto di Roma ’60 (alle spalle di USA, URSS e Brasile), il quinto posto di Tokyo ’64 (dietro le stesse squadre, più il Portorico) risuonava come una bella e prestigiosa conferma: Italia nell’élite mondiale, e ancora una volta seconda in ambito continentale. Adesso basta, non ci si poteva più nascondere! Fu una Nazionale carica di responsabilità e di ambizioni quella che nella primavera del ’65 (clima ancora caldo del campionato italiano appena concluso) volò in Unione Sovietica per la edizione numero 14 degli Europei. Nelle precedenti quattro, la squadra guidata da Paratore aveva raccolto la miseria di un dodicesimo e di due decimi piazzamenti, più una rinuncia da sbornia post-olimpica; consumati tutti gli alibi a disposizione, non restava che inseguire anche qui un risultato di prestigio.
Il fenomeno delle defezioni (per i soliti dichiarati problemi di studio e di lavoro, o di infortuni più o meno strumentalizzati) fu stavolta scongiurato. Della vecchia guardia risposero presente Lombardi e Vianello; di quella un po’ più recente, i lunghi Massimo Masini e Sauro Bufalini, le veloci guardie Massimo Cosmelli e Corrado Pellanera, e poi Nino Cescutti, Franco Bertini, Guido Carlo Gatti; riconfermata, da Tokyo, l’ala-pivot Ottorino Flaborea (già approdato a Varese, da Biella); esordiva Sandro Spinetti, della Stella Azzurra Roma. Della comitiva faceva parte anche Paolo Vittori, che però una volta toccato il suolo sovietico e cominciato i primi allenamenti, ebbe qualche problema al cuore, di natura reumatica, e rimase a fare lo spettatore. A sostituirlo, all’ultimo momento, fu addirittura Tonino Zorzi, che era là in veste di accompagnatore, e che così tornava a figurare in un Europeo dopo l’edizione del ’53, proprio a Mosca (allora in panchina c’era Tracuzzi).
Elemento non facile da sostituire, Vittori, ma nel complesso a questa squadra era lecito chiedere – una buona volta – di dare un seguito alle prodezze olimpiche. C’era il gigante URSS nel girone eliminatorio dell’Italia; stessa formula inaugurata due anni prima in Polonia, cioè due gruppi da otto squadre, le prime due direttamente in semifinale a giocarsi il podio. Come dire che rimaneva un solo posto a disposizione, ma il compito sembrava alla portata, se i risultati conseguiti nei tornei di preparazione (oltre che nelle Olimpiadi giapponesi) avevano un loro valore. Bisognava avere ragione delle altre compagini del blocco orientale, in quel caso rappresentate da Cecoslovacchia, Ungheria, Romania e Germania Est; con Finlandia e Israele non ci sarebbero stati problemi.
Il traguardo raggiunto fu quello preventivato: secondo posto alle spalle di una Unione Sovietica che in quel torneo cominciò proprio contro di noi il suo monotono percorso di tutte vittorie (che peraltro durava ormai dalla edizione di Sofia del ’57), infliggendoci uno scoraggiante 87 a 48. Quello che non era affatto preventivato è che ci andassimo a complicare la vita con la Finlandia, la quale ci batté di un punto in una giornata tutta da dimenticare; una distrazione che per fortuna risultò ininfluente, in virtù dei successi in tutte le altre partite di qualificazione, e soprattutto in quella contro la Cecoslovacchia (78 a 69), che ci regalò il vantaggio dello scontro diretto nell’arrivo finale a pari punti.
Altalenante, in questa prima fase, la prova degli azzurri, con Lombardi e Vianello a trovare (ma non sempre agevolmente) la strada del canestro, con i rimbalzi di Masini, con la grinta di Pellanera, con le insospettabili prodezze di Gatti (l’ala che mise a segno i due tiri liberi decisivi allo scadere della partita con l’Ungheria) e di Cescutti: entrato dopo tre minuti del secondo tempo contro la Romania (azzurri sotto di 18) trascinò col suo estro e i suoi punti (18 anche questi) la squadra al supplementare, e poi alla vittoria (con un canestro messo a segno addirittura da terra).
Sì, si poteva fare di più, e si poteva andare a medaglia. Solo che sulla nostra strada, in semifinale, ci trovammo di fronte la Jugoslavia (che inseguiva la terza consecutiva, di medaglia europea) e soprattutto lui, il terribile mancino Radivoj Korać, che nelle ultime tre edizioni – credenziale da far paura – era stato premiato come miglior marcatore. Risultò il primo realizzatore anche nella partita contro di noi (22 punti, compresi quei suoi stranissimi, ma infallibili, tiri liberi, che faceva partire alla maniera arcaica, tenendo il pallone con entrambe le mani all’altezza delle ginocchia). Eppure l’Italia uscì sconfitta col minimo scarto (83 a 82), nonostante i 22 punti di Masini, i 19 di Lombardi, e il coraggio ammirevole di tutti.
Ingiustificabile, piuttosto, il crollo psicologico dopo questa onorevole sconfitta, con tanti ringraziamenti da parte della Polonia, che non ebbe problemi a farci fuori (86 a 70) nella finale per il terzo posto. Come se una medaglia di bronzo fosse da buttare… Comunque, alla fine, il quarto posto faceva registrare, per la Nazionale azzurra, il miglior piazzamento degli ultimi venti anni; e finalmente anche del prof. Paratore, il quale poteva scrollarsi di dosso l’etichetta (lusinghiera ma anche riduttiva) di “uomo da Olimpiadi”!
URSS, di gran lunga, al di sopra di tutti. E ci mancava che non lo fosse davanti al proprio pubblico, dopo avere stravinto fuori casa le ultime quattro edizioni. Suo l’MVP del torneo, l’emergente ala lituana Modestas Paulauskas, tra l’altro miglior marcatore (16 punti) in una finalissima povera di canestri (58 a 49 contro la Jugoslavia). In evidenza, oltre ai soliti pivottoni, anche la guardia georgiana Sak’andelidze. In Unione Sovietica l’Eurobasket tornava per la seconda volta, dopo l’edizione del ’53. Quell’anno la manifestazione si disputava ancora all’aperto. Palazzi dello sport e parquet segnavano stavolta l’evoluzione dei tempi.
Un’altra novità fu quella delle due sedi: oltre a Mosca, dove si disputò il girone di qualificazione dei padroni di casa (quindi pure dell’Italia) e la fase finale, anche Tbilisi, capitale della Georgia; qui la bandiera della pallacanestro era quella della Dinamo, squadra che aveva già vinto una Coppa dei Campioni qualche anno prima.
PIAZZAMENTO DELL'ITALIA 4° POSTO
IL ROSTER: Gianfranco Bertini, Sauro Bufalini, Nino Cescutti, Massimo Cosmelli, Ottorino Flaborea, Guido Carlo Gatti, Gianfranco Lombardi, Massimo Masini, Corrado Pellanera, Sandro Spinetti, Nane Vianello, Tonino Zorzi, All. Nello Paratore
© Riproduzione Riservata
Giganti # 10 (agosto 2022) | Pagina 26