Kaunas 1939, III edizione
Lo chiamavano fin da allora «girone all’italiana». Ogni squadra incontrava tutte le altre, e alla fine chi aveva più punti vinceva. Il campionato europeo di basket, appena alla sua terza edizione, manifestava già una certa insofferenza nella modalità di svolgimento: aveva iniziato con l’eliminazione diretta, nel ’35 in Svizzera; due anni dopo in Lettonia era passato al sistema dei gironi di qualificazione (semifinali incrociate e finali); in Lituania, nel ’39, si volle cambiare ancora («girone all’italiana», appunto), prima o poi la formula giusta si sarebbe trovata. A fare le spese di questo cambiamento – ironia del nome – fu proprio l’Italia, che per aggiudicarsi la medaglia d’argento nella edizione precedente si era limitata a vincere due sole partite sul campo, mentre stavolta lo stesso bottino non le permise di andare al di sopra del sesto posto.
L’appellativo «discontinua» avrebbe da allora accompagnato la nostra Nazionale nella sua lunga avventura fino ai nostri giorni. Forse fu proprio il comitato organizzatore lituano a dettare le nuove regole. Innanzitutto per assecondare in qualche modo le chances della propria Nazionale, che dopo avere conquistato l’oro nella vicina terra di Lettonia nutriva ancora ambizioni di successo, e quindi sarebbe stato un rischio farle affrontare un torneo in cui se sbagli una partita potresti restare tagliato fuori. E poi perché il «girone all’italiana» avrebbe allungato i tempi della competizione (si giocò infatti per otto giorni, dal 21 al 28 maggio) favorendo così il ritorno economico proveniente dalla partecipazione di pubblico, su cui si puntava a occhi chiusi. Tanta la passione cestistica divampata da quelle parti che alla sola cerimonia di inaugurazione (sfilata delle squadre, inni nazionali, amichevole femminile tra una selezione locale e una polacca) le gradinate dello Stadio di Educazione Fisica di Kaunas si gremirono in ogni ordine di posto, più di 17.000 spettatori; roba che solo il calcio, almeno in Italia. L’emissione di tre francobolli conferì anche un tono celebrativo all’evento.
La squadra azzurra aveva ancora Decio Scuri nella veste di commissario tecnico, e stavolta non figurava un allenatore al suo fianco. Alquanto rinnovata, invece, si presentava la rosa: solo quattro elementi dell’argento europeo di due anni prima (Marinelli, Bessi, Pelliccia, Pasquini), ai quali si aggiungevano sette giovani tra i 24 e i 26 anni: Mario Novelli (che però era stato presente a Berlino nel ’36 e con Pasquini aveva appena vinto lo scudetto nella Borletti Milano), i triestini Bruno Renner e Giuseppe Bernini, i bolognesi Venzo Vannini e Gelsomino Girotti, il romano Aldo Tambone, il veneziano Giovanbattista Pellegrini, prima stella dell’emergente basket lagunare targato Reyer.
«Sarà molto difficile ripetere il risultato di Riga – ammonì Scuri prima della partenza – potremmo pagare lo scotto dell’inesperienza…». Fu così, in effetti. Le cose si stavano mettendo male già nella partita inaugurale contro l’abbordabile Ungheria, se a un certo punto il ct non avesse deciso di tirar fuori qualche esordiente del quintetto iniziale, affidandosi alle giocate dei veterani Marinelli e Pasquini: si andò poi sul velluto fino al 35 a 21 finale. La seconda delle due sole vittorie arrivò subito dopo, contro la cenerentola Finlandia (63 a 13), invitata a quella manifestazione per mero scopo propagandistico (si puntava a riconfermare il basket nella Olimpiade che si sarebbe dovuta disputare a Helsinki l’anno dopo); gli azzurri fecero un figurone, ma altri avrebbero fatto ancora di più, raggiungendo con i malcapitati cestisti scandinavi punteggi destinati a entrare nella storia dei record (91 a 1 l’Estonia, 108 a 7 la Lettonia, 112 a 9 la Lituania). Poi più nulla per l’Italia, sconfitta dalla Francia (24 a 31), dalla Lettonia (38 a 23, con frattura a una mano per Bessi), dall’Estonia (29 a 22, qui fuori gioco anche Pellegrini), dalla Polonia (43 a 27) e, dulcis in fundo, dalla Lituania (41 a 27) nella partita che decretò il loro successo finale, e ci toccò anche assistere, da comprimari, alle altrui scene di trionfo.
Pur di bissare il successo davanti al pubblico di casa, la Lituania non aveva esitato ad affidarsi ancora ai giocatori «americani», oriundi figli di emigrati. Stavolta erano ben quattro, ma uno di questi stava decisamente una spanna sopra gli altri, per differenza di altezza e di tecnica. Si chiamava Frank John Lubin, o almeno questo era il nome che i genitori – scappati dalla guerra che infuocava i paesi baltici – gli diedero quando lui venne alla luce, a Los Angeles, città nella quale si erano rifugiati. Famiglia numerosa, che il padre faceva fatica a mandare avanti col suo lavoro di sarto; Frank venne scelto come l’unico, tra i fratelli, al quale potevano essere destinate le spese per entrare in college, e fu là che le sue qualità fisiche (altezza e muscoli) si misero al servizio del basket.
Aveva partecipato e vinto l’oro, con la rappresentativa statunitense, alle Olimpiadi di Berlino del ’36; poi fu galeotto un viaggio in Lituania alla ricerca delle sue origini, che il destino volle si protraesse in maniera imprevista per un incidente occorso a una sua parente. Praticamente lo braccarono, gli cambiarono – lui consenziente – nazionalità e nome, e così divenne Pranas Lubinas, colui che (con i suoi 201 cm e 113 kg) risultò l’artefice principale per la conquista dell’oro europeo di Kaunas. Il titolo di MVP sarebbe spettato a lui – e non al compagno di squadra Ruzgys – se la FIBA non avesse imposto la regola che solo i giocatori al di sotto dell’1 e 90 potevano ottenerlo. Come se il “lungo”, a quei tempi, fosse alla stessa stregua di un’arma impropria.
L’unico vero ostacolo da superare, per la Lituania, capitò giusto nella partita di esordio contro la Lettonia, che fu battuta di un solo punto (37 a 36), in quella che praticamente si rivelò una finale anticipata (per non dire prematura!), il che fece capire come la formula del «girone all’italiana» non fosse proprio ideale ai fini dello spettacolo. Scampato il pericolo, Lubinas e compagni non ebbero più problemi con tutte le altre avversarie: il minimo scarto (di 14 punti) fu quello rimediato proprio dall’Italia nell’ultima partita, che se ne servì per consolarsi un po’. Argento alla Lettonia, bronzo alla Polonia; poi Francia ed Estonia; dietro i nostri, Ungheria e Finlandia.
Ci si salutò dandosi appuntamento all’Olimpiade dell’anno dopo e agli Europei del ’41, che però sarebbero saltati entrambi. In lontananza si addensavano già, minacciose, le nubi della Seconda guerra mondiale!
PIAZZAMENTO DELL'ITALIA 6° POSTO
IL ROSTER: Giuseppe Bernini, Ambrogio Bessi, Gelsomino Girotti, Giancarlo Marinelli, Mario Novelli, Bruno Renner, Mino Pasquini, Giovanbattista Pellegrini, Mike Pelliccia, Aldo Tambone, Venzo Vannini, All. Decio Scuri
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Giganti # 10 (agosto 2022) | Pagina 10