Canestri e scastiche - la prima Olimpiade del basket
Il basket divenne sport ufficiale nell’edizione 1936, sfruttata dai nazisti come propaganda di regime. Il settantacinquenne Naismith, portato a Berlino grazie a una colletta nazionale, poté assistere all’esordio olimpico della sua creatura
A quarant’anni dalla prima edizione dei Giochi moderni (Atene 1896), finalmente nel 1936 a Berlino la pallacanestro entra dalla porta principale tra gli sport olimpici, avendo partecipato in una precedente edizione solo come disciplina dimostrativa (Saint Louis, 1904). Un altro sport di squadra veniva così accolto sotto l’ala dei “Cinque Cerchi”, contribuendo a modificare la concezione sportiva decoubertiniana, inizialmente volta a celebrare piuttosto la performance del singolo atleta. In seguito alla presa di potere da parte di Hitler (1933), la Germania nazista, che nel 1936 era all’apogeo della propria potenza, confermò la sua candidatura, ottenuta dal precedente regime democratico: i Giochi furono un mezzo per esibire al mondo, tramite un perfetto apparato organizzativo e scenografico, la monumentale forza dell’ideologia al potere. A Giochi conclusi, fu diffuso il film ufficiale “Olympia”, della celebre regista Leni Riefenstahl, un capolavoro tecnico-formale, sia pure inserito in un contesto di chiara promozione dell’immagine del regime.
Negli Stati Uniti il tentativo promosso da molte organizzazioni di boicottare i Giochi era fallito, ma molti atleti di origine ebraica decisero di rimanere comunque a casa come forma di protesta verso l’antisemitismo sposato dal Reich. Il presidente del Comitato Olimpico Americano, Avery Brundage, personaggio con malcelate simpatie antisemite (il suo club a Chicago era interdetto agli ebrei), si spese a favore della partecipazione, sostenendo che gli atleti americani non dovevano essere coinvolti nella diatriba tra ebrei e nazisti.
Intanto, l’inventore della pallacanestro, alla soglia dei 75 anni, era ormai relegato un po’ ai margini del basket contemporaneo. Fu Phog Allen (grande amico e suo giocatore a Kansas) ad organizzare una raccolta fondi per consentire al professore di poter attraversare l’Atlantico in nave e vedere esordire il suo sport alle Olimpiadi. Partì così una campagna denominata “Naismith Nights”: ogni biglietto venduto durante le partite dei college sarebbe costato un extra-penny destinato alla causa. L’operazione riuscì, superando ogni aspettativa.
Delle 23 squadre partecipanti al torneo olimpico, che si giocò dal 7 al 14 agosto, 11 provenivano dall’Europa, 7 dall’America e 5 dall’Asia. Poco prima dell’inizio dei Giochi, Spagna e Ungheria diedero forfait. I nordamericani si allenarono anche durante la traversata in transatlantico, ma dovettero poi sospendere questa pratica, non tanto per le cattive condizioni del mare, ma perché alcuni palloni finirono nell’oceano e si pensò che fosse preferibile non rischiarli tutti.
Il villaggio olimpico, immerso nel verde, era funzionale e confortevole per gli oltre 4.000 atleti ospitati, ma le bandiere con la svastica erano dovunque, insieme a quelle con i cinque cerchi. Il basket non ebbe il trattamento che si meritava: i tedeschi, per esempio, commisero l’errore di considerarlo come sport da praticare all’aperto. Vennero allestiti così quelli che altro non erano che campi da tennis dal fondo risistemato con argilla, sabbia e segatura: le linee, come per i campi di calcio, erano tracciate con del gesso. Le tribune avevano dimensione ridotte perché era stato sottovalutato l’interesse che questa nuova disciplina avrebbe ricevuto. All’esordio ci furono invece 10.000 spettatori.
Molta confusione regnava anche dal punto di vista regolamentare, a causa di norme non ancora standardizzate tra i cinque continenti. Ad esempio, ogni partita poteva essere giocata solo da 7 giocatori per squadra: gli Stati Uniti, presenti con 14 elementi, alternarono 7 differenti atleti ad ogni match e alla cerimonia di premiazione solo i sette che disputarono la finale salirono sul podio. Un’altra regola, che di fatto avrebbe estromesso i migliori giocatori, calò come una scure sugli squadroni di USA e Canada: venivano esclusi dalla competizione tutti i cestisti di altezza superiore al metro e novanta. Le veementi proteste dei nordamericani trovarono accoglienza da parte del CIO, che fortunatamente rimise le cose in ordine. Ma spulciando tra gli archivi della FIBA, si trova conferma del fatto che esisteva una norma (raramente applicata e poi abolita nel 1952) che effettivamente divideva i giocatori in due categorie (sopra e sotto m. 1,90). Il centro della nazionale USA, Frank Lubin, si trovò a fare i conti con questa regola anche tre anni dopo, quando, passato alla guida della Nazionale lituana come giocatore-allenatore (naturalizzato col nome di Pranas Lubinas), rischiò di essere escluso dal Campionato Europeo in Lituania nel 1939. Fortunatamente anche in questo caso, seppure solo un giorno prima dell’inizio del torneo, si decise di non applicare la bizzarra regola, che di fatto non fu mai più utilizzata, se non per escludere questi “giganti” dal riconoscimento di MVP durante i tornei disputati.
Oltreché dal terreno, le abilità dei giocatori furono messe a dura prova da un altro misterioso oggetto: il Berg. Questa era infatti la marca del pallone usato durante il torneo, più simile ad un attrezzo da calcio, di forma irregolare e scivoloso, che suscitò più di una perplessità tra i nordamericani, ormai abituati a palloni perfettamente sferici e di materiale più adatto alle dinamiche del gioco. Un pallone, indispensabile sottolinearlo, anch’esso griffato con lo stemma dell’aquila nazista.
Intanto Naismith era arrivato a Berlino e ad accoglierlo… non c’era nessuno. Pareva un emerito sconosciuto: nessun pass per assistere alle partite gli era stato riservato e il Comitato Olimpico Americano si disinteressò completamente alla vicenda, anche dopo essere stato allertato. Fu l’arbitro americano Jim Tobin a prendersi a cuore la circostanza, riuscendo non solo a fare avere a Naismith tutti gli accrediti necessari, ma anche a far organizzare in suo onore una breve cerimonia di saluto. Fu così che, cosa più unica che rara, l’inventore di una disciplina sportiva assisté all’esordio della sua creazione ad un’Olimpiade.
La formazione italiana era guidata da Decio Scuri e Guido Graziani; i giocatori che scesero in campo nel torneo furono Basso, Bessi, Castelli, Dondi, Franceschini, Giassetti, Marinelli, Mazzini, Novelli, Paganella, Pelliccia, Piana, Premiani. Alcuni incontri misero di fronte quelle che all’epoca sembravano etnie provenienti da mondi diversissimi come Filippine, Estonia, Messico, Egitto, Canada, Lettonia. L’Italia vinse, nell’ordine, con Polonia, Germania e Cile, per poi venire sconfitta nella fase ad eliminazione diretta dal Messico per 34-17. Alla fine, si classificherà al settimo posto.
Fino a quel momento le condizioni atmosferiche erano state clementi ma… Purtroppo, il 14 agosto, giorno della finale tra USA e Canada, la pioggia la fece da padrona. Fu subito evidente che il campo era diventato impraticabile e le rappresentative chiesero di poter giocare in una palestra al coperto. Squadre “equamente svantaggiate”: così sentenziarono gli arbitri, e si ottenne quindi solo un trasferimento su un campo meno allagato. Si giocò comunque davanti a circa 2.000 persone, molte delle quali in piedi e con gli ombrelli aperti. Gli USA finirono il primo tempo in vantaggio 15-4 sfruttando la forza fisica del loro capitano Joe Fortenberry.
Il secondo tempo del match, con la pioggia che continuava a cadere incessantemente, andò anche peggio. Furono segnati solo otto punti (quattro per squadra). Ogni “arresto” equivaleva a scivolate sul terreno per qualche metro, con il famigerato “Berg” che, ogni volta che toccava terra, si inzuppava d’acqua come una spugna. Per via del fango, le divise cominciarono addirittura a cambiare colore. Punteggio finale: 19-8 per gli USA. Nella squadra a stelle e strisce, l’unico giocatore ebreo era Sam Balter.
Al fischio che sanciva la fine del match, il giocatore canadese James Stewart si ritrovò quel pallone tra le mani e, nel desiderio di portarlo a casa come ricordo, lo avvolse in un asciugamano passandolo alla moglie, che a sua volta lo nascose sotto il vestito, allontanandosi tra la folla nelle sembianze di una donna in dolce attesa. Custodito dal figlio di Stewart, è diventato nei decenni successivi un preziosissimo oggetto da collezione.
Il Messico si aggiudicò il bronzo sconfiggendo la Polonia 26 12. Gli italiani Franceschini e Paganella realizzarono più punti dell’americano Fortenberry, ma il titolo di top scorer del torneo fu assegnato a quest’ultimo che ne segnò 29 in soli due incontri (si teneva conto della media punti-partita e non del totale punti realizzati).
Al termine del torneo, Naismith godeva di una maggiore considerazione e durante la cerimonia di premiazione fu anche omaggiato di alcuni bouquet di rose da due ragazze dell’ala femminile della gioventù hitleriana; inoltre, come per gli atleti premiati, gli fu messa attorno al capo una corona di foglie d’ulivo. Un suo ex studente di Kansas University, Bill Mufflin, che assistette alla finale gli si avvicinò, esclamando: "Professore questo è il coronamento della sua vita. Che grande onore!". E Naismith rispose: "Billie, lo è. Il Paese dove sono nato ha giocato contro il Paese dove ho scelto di vivere, e ha vinto il Paese della mia scelta di vita". Furono i giorni più felici della sua esistenza, ammise il grande Naismith. Un testimone raccontò che per tutto il giorno non si tolse dalla testa la corona di ulivo e che, addirittura, prese il suo inseparabile cappello e, nel lanciarlo in aria, disse che da quel giorno non gli sarebbe più servito. Dopo Berlino, la pallacanestro continuò con ancora maggior forza la sua inarrestabile corsa verso un successo planetario ed il confronto con la scuola nordamericana accelerò alcune modifiche regolamentari tese al miglioramento del gioco.
P.S. Con i giochi di Berlino gli Stati Uniti iniziarono una serie di vittorie che li portò a conquistare un totale di 7 ori olimpici consecutivi, giocando 63 incontri senza subire nemmeno una sconfitta. Fino a quando Alexander Belov...
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Superbasket # 61 (maggio-giugno 2023) | Pagina 44-46